1913: quella proposta di trasferire l'abitato di Mosorrofa a Sala
Correva l’anno 1913. Precisamente il 9 di maggio. Erano trascorsi quasi cinque anni, dal disastroso terremoto che il 28 dicembre 1908 distrusse Reggio e Messina. Secondo il sismologo Mario Baratta, in nove centri si registrò una incidenza percentuale delle perdite umane sulla popolazione (censita nel 1901) variante dal 19% di Mosorrofa (224 vittime) al 14,8% di Ortì.
Il deputato giolittiano Bruno Larizza, nativo di Bova, indirizza alla Camera dei Deputati una proposta di legge per aggiungere alla tabella E della legge 9 luglio 1908 n. 445 le frazioni di Mosorrofa e Centro del Comune di Cataforio:
Onorevoli colleghi, il concetto della proposta di legge che io sottopongo al vostro esame e chiaro e semplice.Il regio decreto 15 luglio 1909 n. 542 nell’articolo 2 prescrive: Nei Comuni e nelle frazioni dei Comuni qui sotto designati le costruzioni per nuovi centri abitati e per l’ampliamento degli esistenti non potranno farsi che nelle località per ciascuno di essi indicate salvo che per la piccolissima spianata di Mosorrofa presso la chiesa. Tra i comuni e le frazioni sotto l’articolo vi è Cataforio capoluogo e le frazioni Mosorrofa e San Salvatore. Tale disposizione fu emanata dietro relazione della Commissione Reale incaricata dopo il terremoto del 28 dicembre 1908 di designare le zone più adatte per la ricostruzione degli abitati colpiti dal disastro.
La Commissione Reale scrive tra l’altro : il paese di Mosorrofa è distrutto interamente e forse converrà spostarlo più a sud-ovest, lungo la strada, o sul cristallino molto più a est e a pagina 29 continua per la riedificazione del capoluogo e delle frazioni Mosorrofa e San Salvatore si suggerisce di valersi delle regioni Tripudi e Sala (escluse le prossimità degli appicchi) invece delle aree attuali del capoluogo e di Mosorrofa.
E’ chiaro che il capoluogo (Cataforio) e Mosorrofa secondo il criterio della Commissione, seguito poi dalla legge, sorgevano in terreno inadatto alla ricostruzione, perché poco stabile, degradato e assai franoso. Il deputato si chiede perché la frazione di San Salvatore un po’ è indicata tra quelle da spostare, un po’ si parla invece delle sole aree come inedificabili. Incertezza per cui io ho dovuto limitare la mia proposta di legge al centro di Cataforio e alla frazione Mosorrofa. Dato ciò, osservo subito che all’obbligo del trasferimento l’azienda comunale di Cataforio non può provvedere a proprie spese e con i soli mezzi che la legge 13 luglio 1910 n. 461 mette a disposizione degli enti locali per eseguire i nuovi piani regolatori. Ecco perché si rende necessario ed equo che provveda lo Stato.
Cataforio e Mosorrofa quindi non erano comprese nella tabella E della legge perché era sconosciuta alle autorità che giacevano su terreni franosi, (tesi riconosciuta invece dopo il terremoto del 1908) .Ecco perché trovandosi nella stessa condizione dei Comuni presenti nella tabella E, e equo e doveroso parificarne le condizioni giuridiche. Ma le cose, per varie circostanze, andarono diversamente rispetto agli intenti dell’Onorevole.
Dopo il sisma , nel 1919 vennero costruite la baracche al rione Scalea e al rione Macello (andarono a fuoco nel 1919), poi scoppiò la prima guerra mondiale, infine si insediò il regime fascista.
Le popolazioni dei due centri, guidati dai rispettivi parroci, non erano d’accordo sullo spostamento e fecero pressioni sulle autorità. Soprattutto, si adoperò in merito il Canonico Antonino Caridi e (secondo quanto affermò l’Ing. Demetrio Cozzupoli in un discorso ufficiale), un suo fortuito incontro con il suo amico Don Luigi Sturzo fece si che la cinta ricostruibile del paese (limitata dal Decreto Reale alla sola spianata della chiesa) fosse molto estesa ed allungata . Le autorità preposte eseguirono quindi ulteriori accertamenti, rilevando che gli abitati non sono minacciati da frane e possono essere ricostruiti nelle loro sedi attuali e nelle sedi limitrofe. Cosi, sentito il Consiglio superiore dei Lavori pubblici e il Comitato tecnico amministrativo del Provveditorato alle opere pubbliche per la Calabria, su proposta del Ministro Segretario di Stato per i Lavori pubblici viene decretato con il regio Decreto 6 ottobre 1927 n. 2606 a firma Vittorio Emanuele III che gli abitati di Cataforio Centro e Mosorrofa sono esclusi dalla tabella E legge 9 luglio 1908 n. 445 e quindi le nuove edificazioni (oltre alla piazza principale n.dr.) possono essere edificate nella sede attuale dell’abitato denominata Anzario e zone denominate giardino Ferraina (di cui sconosciamo ad oggi l’ubicazione), Maestro ( U Maisciu) e Gambarà (attuale Mangara’) nonché le zone latistanti alla rotabile per Reggio Calabria ( attuale vie Demetrio Cozzupoli ed ex Via Provinciale) .
Dopo l’epoca fascista e la seconda guerra mondiale seguì una progressiva espansione urbanistica, con la costruzione della chiesa, delle palazzine popolari , l’illuminazione pubblica ecc . Purtroppo però. la mancanza di adeguati piani regolatori portò negli anni Settanta e Ottanta, a quell’urbanizzazione selvaggia e incontrollata a cui non hanno posto rimedio le varie amministrazioni che si sono succedute. Anzi, rispetto a servizi essenziali come la raccolta dei rifiuti o la viabilità le cose si sono aggravate anche nella c.d. “Seconda Repubblica”. Ancora oggi portiamo i segni di un degrado che ha abbassato la qualità della vita nel nostro territorio. Non esistono marciapiedi, piste ciclabili, aree ludiche per i bambini, spazi per le attività sportive, viabilità adeguata, parcheggi . Alle molte inefficienze amministrative si aggiunge l’inesistente senso civico di una minoranza della popolazione che aggrava la situazione. Basti pensare, solo per fare qualche esempio che vengono usate le automobili solo per spostarsi di qualche centinaio di metri ostacolando la viabilità o si continui ad alimentare le varie discariche abusive. L’accentuarsi del divario economico Nord- Sud e la scomparsa dall’orizzonte politico della questione meridionale , stanno portando al progressivo spopolamento del territorio. Tanti gli appartamenti vuoti, molte le attività commerciali che chiudono mentre l’ emigrazione dei nostri giovani è ripresa con numeri impressionanti. La rotta si può invertire solo se prendiamo coscienza che molto dipende dal senso civico di noi cittadini, dal rispetto dei beni comuni e soprattutto dal nostro voto.