A metà tra Reggio e Sant'Agata: Sala di Mosorrofa tra Seicento e Settecento

Nelle fonti storiche di età moderna, l'attuale Sala di Mosorrofa viene diversamente indicata come parte del territorio di Reggio o parte del territorio di Sant'Agata. Il confine tra le due città passava infatti dalle campagne della contrada allora detta Sala[1], o La Sala, la cui parte orientale ricadeva nel tenimento santagatino, e il cui settore occidentale apparteneva a San Sperato o a Riparo, borghi collinari della città dello Stretto[2]. La particolare duplice natura di questa zona può essere evinta dall'analisi di alcuni documenti dell'epoca, riguardanti fondi rustici di vario genere, relativi a Sala di Mosorrofa tra metà Seicento e metà Settecento.

Nel 1653 il reggino Paolo Monsolino, figlio di Pietro Angelo, acquista un terreno da Nicola Giovanni Chilà di Cannavò. Nell'atto di vendita, redatto in un latino non perfetto misto a italiano e dialetto, si legge che Chilà consegna a Monsolino «quoddam eius petium viridarii sicomis cum una piro in eo»: un pezzo di giardino con al suo interno alcuni gelsi e un pero, che confina con le proprietà di Giuseppe Rognetta, di Giovanni Cutrupi, della vedova di Nicola Angelo Albanese e di Pietro Chilà, e con una «viam publicam, et alios fines». Il bene in questione è «positum in tenimento huius Civitatis Rhegii in contrata La Sala», e viene venduto per 16 ducati, cifra che comprende anche «la mettà parte del piede di celso che sta piantato dentro lo giardino di detto Petro Chilà»[3].

Sul versante reggino della contrada Sala si trova anche il terreno agricolo che le magnifiche Maria e Anna Mammolino, appartenenti a una famiglia borghese al tempo presente in città, avevano ricevuto dal canonico Giovanni Mammolino. Si tratta di una «terram aratoriam» di circa cinque quattronate, confinante coi beni di Vincenzo Ferrante e quelli di Giuseppe Granata, del valore di 48 ducati «iuxta aestimationem factam per Antoninum Giofrè quondam Ioannis publicum, et expertum Agrimensorem huius Civitatis». Assistite dalla madre, la magnifica Mariana Morisano, nel 1695 le due sorelle vendono il terreno ad Antonino Taglieri del fu Giuseppe, reggino di San Sperato, con uno sconto di tre ducati[4].

Nel 1716 si ha notizia di un altro fondo rustico situato «in contrata La Sala» dalla parte di Reggio, ovvero «un pezzo di terreno in una quattronata in circa con quattro piedi di celsi», che confina coi beni di Paolo Mannarella e quelli del convento del Carmine, e appartiene a Domenico Giordano e Giovanna Ghilà[5] di Cannavò. Poco tempo prima, i due coniugi avevano già venduto una porzione della proprietà dell'appezzamento, per 5,50 ducati, al diacono Francesco Sergi, ma nel 1716, «come che tengono maggior bisogno s'hanno deliberato [di] vendere il Ius Luendi di detto pezzo di terreno». Lo ius luendi, che consiste nel diritto di poter riacquistare il bene venduto, viene ceduto al Sergi per 4,50 ducati, poiché il valore totale del fondo è di 10 ducati, «secondo la stima fatta per Francesco Valenti del Casale di Mosorrofa, e per Gioseppe Dattola di questa Città [di Reggio] publici, et esperti stimatori»[6].

Il chierico Giuseppe Borruto di Sant'Agata possiede una «terra aratoria consistente in quattronate due», «con tre piedi di celsi serici, et uno d'ammendole» al suo interno, che nel 1717 viene acquistata dal monastero reggino di Santa Maria della Vittoria. La terra in questione è «posta nel territorio della Città di S. Agata in contrata La Sala», confina «dalla parte dell'oriente col violo publico, dalla parte dello scirocco colla via publica, e dalle parti dell'occidente, e mezzogiorno colli restanti beni di esso Borruto», e vale 48 ducati per com'è stata «apprezzata da Pietro Tripepi, e Giuseppe Lucisano esperti di detta Città di Santa Agata». Come garanzia, il venditore «ippoteca tutto, et integro il remanente giardino continuo a detta terra alberato di celsi, et altri alberi con casa terranea dentro, posto in detto tenimento della Città di Santa Agata in detta contrata La Sala»[7].

Un altro aristocratico di Sant'Agata, Giuseppe Biasi del fu Pompeo, è proprietario di «una terra aratoria, e seminatoria di quattronate quattro in circa con suoi inculti, ed aridi adiacenti», «alberata solamente con tre piedi di ficare antiche», che è situata «nella contrada detta la Sala» ma nel territorio di Reggio. Questo fondo agricolo confina con i beni di Bruno d'Alessio, con quelli del reverendo Cristofaro Cara, e con quelli degli eredi del defunto parroco Antonino Pontari; «secondo la stima fatta da Filippo di Benedetto publico esperto agrimenzore» reggino, che ha effettuato una perizia sotto giuramento «e colle regole della sua professione», il valore totale del bene è di 30 ducati, «cioè terra docati venti quattro, ficare docati sei». Giuseppe Biasi, «considerando [che] tenere detta terra non li rende commodo né utile alcuno», nel marzo 1740 la concede in enfiteusi al reggino Giuseppe Rappoccio del fu Demetrio, al canone annuale di due ducati «pagabili in ogni quindici Agosto di ciaschedun anno». L'enfiteuta, «da oggi avanti e per tutto il mese di gennaro dell'entrante anno 1741», dovrà «piantare tutta detta terra di celsarelli negri di sirico, ficare, ed altr'alberi di frutto», e potrà rescindere dal contratto solo dopo aver pagato al concedente 30 ducati in contanti, «in due tande nella prima in docati venti, e nella seconda in docati diece»[8].

Dalla parte di Reggio si trova anche l'«oliveto posto in contrata la Sala, [...] limitante il fiume publico, Dr. Fisico Francesco Marrari, et altri», che il reverendo Cesare Guarna, tra gli altri suoi beni, lascia agli eredi nel proprio testamento del 1746[9].

Di maggiore estensione – trentadue quattronate – è la «terra aratoria, e seminatoria» che viene acquistata nel 1755 da Ettore Malacrino del fu Francesco, nobile di Sant'Agata attivo in speculazioni anche nel territorio reggino. La tenuta è «posta nelle circumferenze di detta Città di S. Agata, in Contrata La Sala», e confina con alcuni terreni di proprietà delle parrocchie santagatine di Santa Maria del Soccorso e di San Giuseppe, oltre che con una «via publica, e l'altro pezzo di terra» già venduto in precedenza da Scipione Prato allo stesso Ettore Malacrino. A vendere questo immobile, stavolta, sono insieme i fratelli Scipione, Ermenegildo e Aurelia Prato, nobili di Reggio che in quel momento sembrerebbero non versare in floride condizioni economiche. La valutazione del bene viene fatta dal «publico ed esperto stimatore di detta Città di S. Agata» Giuseppe Iero, che dopo aver «apprezzata detta terra con fronda dentro con tutta esattezza, e diligenza, secondo il suo giudizio, coscienza, e parere», stima un valore complessivo di 450 ducati. La compravendita, oltre al terreno, riguarda anche «carichi tre di fronda» (le foglie di gelso di cui si nutrono i bachi da seta): ogni carico di fronda, che equivale a quasi novanta chilogrammi, vale sette ducati. In base agli accordi stabiliti fra le parti, infine, per i fratelli Prato è prevista la possibilità di ricomprare la tenuta, entro il 31 agosto 1756, per la stessa somma spesa da Malacrino, ma scaduto quel termine perderanno ogni diritto e non potranno più «esercitare facoltà alcuna di ricompra»[10].

 

 

[1]     Giuseppe Chirico, Il confine tra Reggio e Sant'Agata in età moderna, in «L'Eco di Mosorrofa», anno L, n. 4, dicembre 2020, p. 7.

[2]     Sala di Mosorrofa, peraltro, era pressoché equidistante in linea d'aria da entrambe le città.

[3]     Archivio di Stato di Reggio Calabria, Fondo notarile, rogito del notaio Giuseppe Manti del 14 settembre 1653.

[4]     Archivio di Stato di Reggio Calabria, Fondo notarile, rogito del notaio Vincenzo Siclari del 29 aprile 1695.

[5]     L'attuale cognome Chilà, sino a pochi secoli fa, veniva spesso scritto “Ghilà”: un chiaro riferimento alla originaria pronuncia greca del termine. Il suono “ch” aspirato della iniziale “χ” di Χίλας (“chilas”) veniva indicato con le lettere “gh”, così come ad esempio avveniva anche alla “χ” in Λαχανάς (“lachanas”), ovvero Laganà, che veniva spesso scritto “Laghanà”. Ancora oggi, in Grecia, esistono i cognomi  Χίλας e Λαχανάς.

[6]     Archivio di Stato di Reggio Calabria, Fondo notarile, rogito del notaio Vincenzo Siclari del 22 febbraio 1716.

[7]     Archivio di Stato di Reggio Calabria, Fondo notarile, rogito del notaio Girolamo Chiantella del 25 novembre 1717.

[8]     Archivio di Stato di Reggio Calabria, Fondo notarile, rogito del notaio Francesco Petrulli del 19 marzo 1740.

[9]     Archivio di Stato di Reggio Calabria, Fondo notarile, rogito del notaio Giovan Battista Casile del 4 aprile 1746.

[10]    Archivio di Stato di Reggio Calabria, Fondo notarile, rogito del notaio Diego Calarco del 14 ottobre 1755.