Ancora sulle doti nuziali a Mosorrofa

Nel numero di febbraio del 2021, grazie a preziosi documenti del Seicento, rinvenuti presso l’Archivio di Stato reggino, avevamo trattato di alcuni capitoli matrimoniali redatti in quel periodo nel villaggio di Mosorrofa, ovvero di accordi tra le parti, relativi alla dote di nozze per la cui formalizzazione ci si rivolgeva ad un notaio. Nell’articolo che segue, alla luce di nuovi documenti, possiamo approfondire la nostra indagine anche nei secoli successivi per conoscere meglio la tipologia dei beni, consistenti soprattutto in corredo, utensili per la casa, animali, terreni e abitazioni che la famiglia della sposa conferiva al futuro marito, anche se a volte, come vedremo, non mancano piccoli gioielli e denaro contante.  Come più volte ribadito queste informazioni sono importanti non soltanto per capire la vita e il ruolo che ha avuto la donna mosorrofana ma essenziali dal punto di vista sociale, culturale ed antropologico. 

Anno 1768 - Anna Arcudi figlia di Paolo di Musorroma porta in dote a Cristofaro Abbagnato fu Giuseppe: otto ducati consistenti in cose d’oro, un filo di fiannacca (collana) di granatini, un ienco domito (vitello) di pilo castagno. In un atto del 1725 si legge invece che Complizia Maressa aveva portato in dote a Matteo Cutrupi, entrambi del casale di Mosorrofa, un “ienco silvaggio” d’anni due.

Per quanto riguarda i beni immobili di Anna Arcudi abbiamo poi una terra di quattronate tre (misura agricola corrisponde a circa 3600 mq), in parte piantata a vigna e in parte scapola (non coltivata) a Scarpello (località tra Bufano e il torrente Pietrangelo), limitante con i beni di Pasquale Crucitti e Maddalena Tripepi.

L’elenco continua con tre paia di lenzuola, una lettèra di fago (letto di faggio), un pagliaccio (pagliericcio), una porta di lino (la sua coltivazione fu praticata nel territorio mosorrofano, come attestano numerose testimonianze scritte e orali), due covertori (coperte) di cui uno rosso di tuppi e filato con il suo giraletto uguale, l’altro bianco con suo giraletto sempre uguale, due falde (grembiuli o  lembi di gonna) di capicciola (qualità di seta non molto pregiata), tre jubetti, due di colore, l’altro bianco, due jippuni di colore (il “jubetto” era una gonna con moltissime pieghe in senso verticale dette crespe  e formava il completo col jjppune, la camicetta), due cascia usate, una padella, nove surbiette (tovaglioli), un treppiedi, due sedie di buda (per impagliare fiaschi, sedie e damigiane, si usavano anche le foglie più dure di questa pianta che cresceva spontanea vicino ai punti umidi, detta anche erba sala, tifa o mazzasorda).

Anno 1799 - Domenica Romeo vedova di Orazio Cutrupi col quale si era sposata il 30 novembre del 1786 consegna al nuovo compagno Giuseppe Morabito di Pavigliana i beni che le ritornano in possesso dopo il decesso del primo marito. In questo caso infatti la dote veniva restituita alla vedova che, solo in questa situazione, era libera di disporne a suo piacimento.

Consegna quindi un pezzo di fondo con olive e ficare in contrada il Calzolaio, limitante con Giuseppe Nucara e Antonia Cagliostro, altro terreno con le medesime piante in contrada Placa, una casa come mezzo solaretto morto (forse si intende danneggiato) a Mosorrofa limitante con Pasquale Cutrupi e strada pubblica, una nasida a Millisia con gelsi e castagni limitante con Giuseppe Cutrupi e il fiume ovvero un terreno coltivato ai lati della fiumara, protetto quasi sempre da muri e difficilmente soggetto alle violenze della fiumara.

Due gonnelle di capicciola di colore verde ed acquamarina, due gipponi, due busti colorati ad acquamare, due tovaglie di tela, una di tavola ed una di faccia, due servietti di pipirello, due paia di lenzuola di tela e due di cuscini, un banco e una cassa di faggio, una caldaia di rame piccola, una padella, un treppiedi di ferro, due sedie “e la zita con due giocali e la grazia del Signore”.  

Anno 1828 - Domenica Casile, figlia del fu Demetrio e Isabella Cara porta in dote a Giovanni Cozzucli, figlio di Pietro e Teresa De Benedetto, una casa divisa in due membri, cioè l’una terranea e l’altra solarata che attaccano per borea (la parte di settentrione) con l’orto d’inverno di Orazio Sorgonà.

Una tela di canne 20 (corrispondente a circa 42 mt.) ed un’altra detta di schiacchiere, di canne 12, della capicciola comune canne 6, tre paia di lenzuola, sette camice, di cui sei di tela ed una di monsolina (tessuto morbido, leggero, delicato, generalmente realizzato in cotone). Quattro serviette, tre tovaglie di faccia, quattro giubetti, di cui tre di drappo ed una di monsolina, cinque penali di cui quattro di tela e una monsolina.

Un gippone di velluto, due paia di fodere di cuscini di tela, cinque coperte di lana da letto, un pagliaccio, una lettera, tre sacchi, una bisaccia di lana, un manto di lana, una caldaia ed una cazzarola (casseruola), una padella, due treppiedi, un caldaio piccolo di rame, tre casse, una grande e due piccole, un armadio di legname grande, cinque sedie, una giarra ovvero conserva per olio, un recipiente per fare pane detto volgarmente maylla (màdia), una boffetta (tavola da mensa, dal fancese buffet), un telaio, un barile per olive, sei paia di calzette, 48 ducati di contante, un paio di orecchini d’oro, una collana, un copertone bianco ed altri mobili e comodi di casa.