Bettole, rivendite di vini e liquori giochi proibiti e altre violazioni

A distanza di qualche anno, grazie al ritrovamento di nuovi documenti archivistici, interessanti anche per una storia del commercio locale, riprendiamo il nostro viaggio all’interno delle numerose bettole presenti a Mosorrofa tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del secolo successivo.

Francesca Pitarella di Pasquale venne convocata presso la Pretura di Gallina poichè l’11 marzo del 1893 aveva permesso a diversi individui di giocare alla morra nel suo esercizio di vendita di vino al minuto nel villaggio di Mosorrofa senza essere munita della prescritta tabella dei giochi proibiti. Questa infatti, vidimata dall’autorità di Pubblica Sicurezza del circondario, doveva essere esposta all’interno del locale e riportare tutti i giochi d’azzardo conosciuti in paese con la dichiarazione del loro divieto.

La morra era un gioco molto popolare, praticato soprattutto nelle bettole e oggetto di scommesse, quindi probabilmente ritenuto d'azzardo: di solito come vincita c'era un litro di vino ma si racconta anche di giocate con in palio denaro e il problema stava nel fatto che la violenza gestuale e verbale si prestava a malintesi ed equivoci che spesso, grazie soprattutto ai contributi dell'alcol o a chi cercava di evitare di pagare il pegno, avevano dei risvolti drammatici fra le persone interessate, senza dimenticare che c'era sempre chi cercava di barare essendo un gioco molto veloce.

Proprio per questione di “giuoco alla morra”, Il 4 marzo del 1894 verso le ore 24 nella cantina pubblica gestita da Anna Palmisano di Andrea di anni 36, i nomati Giuseppe Nicolò di Sebastiano di anni 27, Fortunato Nicolò di Giuseppe di anni 36, Domenico Trunfio di Sebastiano di anni 21 e Antonino Trunfio fu Giovanni di anni 16, tutti contadini del luogo erano venuti a diverbio tra di loro passando poi alle vie di fatto.

Circa un mese dopo, invece, nell’ aprile del 1894, venne elevata una contravvenzione da parte dei Reali Carabinieri a carico di Domenica Fallanca di Francesco, esercente da Mosorrofa per aver costei tenuto nella sua bottega il giuoco delle carte senza la prescritta licenza dell’autorità di P.S. Condannata a lire 10 di ammenda, per i suoi buoni precedenti le vennero però date le attenuanti.

Alcuni anni prima, precisamente nel 1871, Antonino De Stefano, unitamente a Giovanni Cozzupoli e Carmine Palmisano tutti di Mosorrofa, erano stati condannati per aver aperto una sala da gioco a carte senza averne ottenuto la licenza.

Sempre in paese, con verbale redatto il 31 luglio del 1908  i Reali Carabinieri di Cataforio elevarono anche una contravvenzione a Demetrio Cozzupoli, poichè convinti che avesse aperto un esercizio di vendita abusivo di vino al minuto e liquori, nonché per aver consentito il giuoco delle carte nello stesso locale e per aver trasgredito ad un ordine, legalmente dato dall’autorità, che ne imponeva la chiusura. Dal pubblico dibattimento risultò invece che il luogo era destinato al deposito di botti di vino con cui la moglie a nome Mattia Morabito forniva una sua cantina situata nelle vicinanze di cui ne era autorizzata per tenerne l’attività, come dimostrato dalla licenza esibita, rilasciatale fin dal 1894 è sempre regolarmente rinnovata.

Fu provato, e non dissentirono i Carabinieri, che nel deposito in questione frequentavano i figli dei due coniugi i quali provvedevano qualche volta anche a “cucinare il vitto”. All’occasione infatti venivano somministrati frugali pasti e, in alcune circostanze, apparecchiata la mensa per dei cacciatori i quali volevano, con maggior libertà, “mangiare e divertirsi”. Se pur si doveva prestar fede al verbale in cui si asseriva che la sera del 30 luglio la figlia del Cozzupoli a nome Domenica aveva venduto del vino a quattro “passeggeri”, era azzardato sostenere che l’avesse fatto per conto del padre e non già della madre, quest’ultima proprietaria dell’immobile, la quale, come detto, esercitava legalmente la vendita in un'altra cantina del paese, di cui quel deposito poteva considerarsi “succursale”.

A supporto di ciò si doveva il fatto che, se nel locale in questione, i due coniugi avessero abitualmente venduto vino al minuto, l’appaltatore del Dazio del Comune di Cataforio, non avrebbe mancato di costringere gli esercenti a ridurlo nelle forme di legge o elevare contravvenzione. La legislazione in merito era severissima e non ammetteva eccezioni, perché gli introiti di quell'imposta costituivano una buona fonte di entrate per il Comune. Impossibile quindi immaginare una vendita diretta che potesse sfuggire a questo balzello.

A seguito di denuncia dell’arma dei Carabinieri di Cataforio, giusto il verbale del 18 giugno 1908, Angela Nucara di Domenico fu portata innanzi alla Pretura per aver protratto la chiusura del suo esercizio oltre l’orario stabilito dal regolamento. Pur ammettendo il fatto, in udienza la donna addusse a sua giustifica che essendo la propria abitazione in comunicazione con lo stesso locale dove esercitava la vendita di vino e liquori ed, essendo impegnata “a fare coricare i suoi cinque figli”, non si era accorta che nel frattempo era sopraggiunto l’orario di chiusura.

La sua colpa rimase però sufficientemente provata in quanto la giustificazione addotta da costei non aveva alcuna efficacia. Venne quindi dichiarata colpevole della contravvenzione ascrittale, condannata a lire 10 di ammenda più le spese e le tasse di sentenza.

Il giudice ordinò però che l’esecuzione della pena restasse sospesa per cinque anni qualora la donna non avesse commesso in detto arco di tempo un delitto punibile.

Per lo stesso motivo, il 17 giugno 1908 verrà accusato Demetrio Palmisano del fu Carmelo di anni 35. Egli nel momento in cui si accorse che stavano per sopraggiungere i carabinieri si apprestò a mandare subito via i due avventori che ancora si attardavano all’interno del suo esercizio, chiudendo poi rapidamente la porta del locale ma la responsabilità dell’uomo era sufficientemente raggiunta, in quanto, alle 21,00, secondo il regolamento, doveva cessare ogni servizio e somministrazione al pubblico, ed effettuarsi lo sgombro del locale (l’orario di apertura e di chiusura era fissato dall’autorità di Pubblica Sicurezza del Circondario d’accordo col comune di Cataforio). Le circostanze che il Palmisano adottò, d’avere cioè, come la Nucara, la propria abitazione sullo stesso posto, servì a poco e si stimò pertanto applicare la pena di lire 10 d’ammenda più le tasse di sentenza.

Il 30 luglio del 1908, Demetrio Sorgonà fu Antonino di anni 49 subì una contravvenzione per non aver tenuto acceso il prescritto lume alla porta d’ingresso del suo esercizio di vendita di vino al minuto e liquori.

Gli esercenti avevano infatti l’obbligo, dall’ imbrunire fino alla chiusura, di tenere accesa una lanterna alla porta principale del locale.

Nell’udienza, presso la Pretura di Gallina, il giudicabile affermò che, allorquando giunsero i Carabinieri, il lume era effettivamente spento, ma che tal fatto poteva attribuirsi ad una folata di vento. Dal pubblico dibattimento non si ebbero elementi sufficienti per poter accertare la sua responsabilità, in quanto, per la deposizione dello stesso Brigadiere dei Reali Carabinieri, nasceva legittimo il dubbio che effettivamente in quella sera il lume si fosse spento accidentalmente proprio pochi momenti prima della contravvenzione, tanto vero che i gendarmi videro la figlia del Sorgonà intenta a riaccendendolo. In basi a tali risultanze non fu quindi il caso di emettere sentenza di condanna.

Andò invece male a Giuseppe Pometti di ignoti di anni 46 da Mosorrofa, in quanto, il pretore di Gallina, letti gli atti a suo carico, lo condannò alla pena di lire 25 di ammenda poiché, secondo il verbale dei Reali Carabinieri  del 15 febbraio 1914, aveva aperto al pubblico un esercizio di vendita di vini al minuto permettendovi anche i giuoco delle carte, senza l’opportuna licenza dell’autorità competente. La domanda per ottenerla doveva essere infatti presentata al sindaco di Cataforio, il quale sentito il parere della giunta municipale, l’avrebbe poi trasmessa all’autorità di Pubblica Sicurezza del circondario.