Canti di passione: "U rriloggiu du Signuri" e altri
Il panorama cristiano vanta una ricchezza grandiosa per quanto riguarda le tradizioni viventi e non viventi collegate alla Settimana Santa. Particolar modo quelle del venerdì, giorno in cui al Dio fatto uomo vien incontro la morte, una fine umana per un essere divino. Gli “antichi” sin son dati un bel da fare nel creare dei riti e delle cerimonie cultuali atte ad avvicinare i fedeli al dolore di Cristo. È specie nei canti che disponiamo una miriade di versi e tradizioni. In questi notiamo particolar modo il rimando forte al dolore di una madre che perde l’amato figlio. Dobbiamo ricordare come dice bene De Martino che: “il nuovo Testamento non conosce un pianto di Maria. In Giovanni 19, 25-27, Maria appare alla croce come muta spettatrice, e l’evangelista non pone sulla sua bocca nessuna espressione di dolore: Maria madre di Gesù, Maria di Cheopha e Maria Maddalena vi sono rappresentate in atto di “stare” davanti alla croce, chiuse in un patire interiore raccolto, che guadagna in singolare efficacia etica proprio per il fatto che noi … intravediamo nello scenario della passione il disegnarsi di queste tre ombre silenziose e immobili”. È un “interiore patire” quello presentato dai vangeli che già nel sabat mater si trasforma in “un contemplare velato di lacrime” : “ Stabat Mater Dolorosa – iuxta crucem lacrymosa – dum pendebat filius: - cuius animam gementem, - contristatam e dolentem – pertransivitglaudius”. Su queste basi lo stesso De Martino ammette che non troverebbe posto la rappresentazione drammatica del dolore di Maria secondo uno schema definito. In Maria l’essere umano vide una personalità suscettibile alla “terrestrità” del dolore, capace di concentrare gli umani cordogli risolvendoli in un unico cordoglio per “un morire destinato a cancellare la morte dal mondo”.
In quest’ottica vanno letti e conservati i testi popolari che anche la nostra terra tramanda da generazioni. Nella nostra Mosorrofa i canti di Passione non sono pochi e sicuramente son stati anche di più, ma quelli arrivati fino a noi e che conserviamo sono almeno quattro di cui tre rosari ( recitati durante la processione delle varette e la notte dei “sipurcri”),” u rrilogiu du Signuri” e un altro canto parimenti antico oggi perduto che è a “ Scasata da cruci”. Colgo l’occasione per rivolgermi a quanti lo ricordano o ne hanno copia scritta al fine di ricomporlo ed evitare che come tanti altri nostri versi antichi venga dimenticato per sempre. Mi vorrei soffermare su “U rrilogiu du Sgnuri” un canto che grazie alle defunte Crucitti Giuseppa e Nicolò Caterina, testimoni grandiose del nostro passato, son riuscito a ricomporre e riscrivere per intero, sottraendolo all’oblio cui sarebbe inevitabilmente caduto .
Nel testo in questione troviamo ventiquattro versi, tanti quante le ore di una giornata, attraverso i quali sono scanditi i momenti salienti della passione di nostro Signore. Questo modo di dividere per ore i momenti della passione tramite un orologio è assai arcaico, risale ( almeno nelle fonti, anche se probabilmente prima veniva tramandato oralmente) agli ultimi secoli del medioevo.
Come è stato possibile ridurre a ventiquattro momenti la passione di Cristo? Come ci ricorda Padre Simone da Napoli nel suo “Horologio della passione di Giesù Christo – 1708” , il Vangelo dà soli due dati sicuri ossia: “ l’ora sesta per la crocifissione e la nona per la morte del Salvatore, la prima alle diciotto, l’altra alle ventuno, considerando che l’ora sesta degli Ebrei corrisponde appunto alle diciotto e la nona alle ventuno”. Padre Simone nel testo aggrega ad ogni ora una predicazione adeguata, elaborando un metodo ingegnoso per le sue omelie che si appoggia ad una tradizione orale assai più antica del ‘700 . Questi orologi sono una forma narrativa dei fatti evangelici e contribuivano a creare nei fedeli la conoscenza di ciò che avvenne al Cristo, in secoli di forte analfabetismo sono stati validi strumenti di compassione per quanto narrato nei sacri testi.
Un'altra considerazione avvincente sulla nascita di questo canto è stata elaborata attorno alla data simbolo del 25 marzo. I primi cristiani come scrive anche l’enciclopedia cattolica concordavano nel riconoscere in questo giorno la data della morte di Cristo : “ Le antiche martirologie assegnano al 25 marzo la creazione di Adamo e la crocifissione di Nostro Signore, e anche la caduta di Lucifero, l’attraversamento del Mar Rosso da parte di Israele e l’immolazione di Isacco”. Il venticinque marzo diventa così un giorno carico di significato, aggiungiamo a questo la coincidenza col pieno periodo equinoziale per cui il giorno e la notte si equivalgono, aggiungiamoci che il computo delle ore dal medioevo all’ottocento in Italia si basava sul cosiddetto “orario italiano” che inizia il conto dal tramonto. Possiamo arrivare a concludere che le ore 1:00 corrispondono in quel periodo dell’anno (più o meno) alle sette di sera, le ore due alle otto e così via fino alle ventiquattro che corrispondono alle sei del pomeriggio. In questo quadro il collegamento con i fatti della passione vien da solo, perché le ore del nostro “rrilogiu” partono infatti dall’ultima cena (tramonto): “Cristu n’ura di notti amaru signu; Giuda faciva a cena mi si danna ; nostru Signuri lu tuttu sapendu ; chi la so morti iva nvicinandu”, e continuano fino alla sepoltura che come narrano i vangeli avviene la sera stessa : “perché i corpi non rimanessero sulla croce durante il sabato, era infatti un giorno solenne quel sabato, chiesero a Pilato che fossero spezzate loro le gambe e fossero portati via.” (Gv.13,1 – 15)
Oltre quest’affascinante logica, messa in luce da alcuni studiosi è da considerare anche l’enorme effetto aggregativo di tali manifestazioni religiose che legavano la comunità ( in questo caso nel canto), rendendola unita così come avveniva nei giorni di San Demetrio. Il “tempo” della Settimana Santa è uscita dall’ordinario, è ingresso nel tempo del sacro. Un tempo “altro”durante il quale si interrompe il nomale divenire e si recupera la dimensione dell’alterità sacra. Questi momenti salienti della vita sociale non sono lasciati a se stessi, vengono assunti dalla comunità culturalmente per diventare punti fermi della propria organizzazione calendariale. Dalle labbra delle nostre nonne a quelle delle loro e così all’indietro nei secoli si irradiavano sulla nostra Mosorrofa quelle note di dolore, di ricordo, di pianto e commiserazione per quanto avvenuto al Cristo. Mi piace pensare che era quello un modo per gli antichi non solo di professare la loro fede ma anche di sfogare il proprio talento. Oggi esistono i Talent show televisivi per emergere dal basso ma un tempo era durante queste occasioni che la donna più portata del paese guidava il canto, era quella con la voce più forte ma soprattutto più coinvolgente, mi si parla ancora di voci e donne rimaste celebri tra i nostri anziani per il loro canto che dicevano si udisse per tutto l’abitato. Un momento di lutto che è soprattutto momento di aggregazione e riconoscimento in una cultura che è quella cristiana. Nell’Orologio così come negli altri testi è sempre forte il phatos delle donne che si riconoscono nell’umanità della Mater Dolorosa. Nel nostro “rrilogiu” l’ultima ora la ventiquattresima recita: “fu seppellitu a li vintiquattru uri; a Maria rimaniu un gran duluri. Arrassu arrassu tinni lu cunsigliu; nessuna matri morirà pi un figliu”.