Dante Alighieri e le donne di ogni tempo
Cosa hanno in comune una mosorrofana qualunque e una fiorentina del 1200? Ce lo dice Dante Alighieri. 2021 è l’anno in cui ricorrono i settecento anni dalla morte del Sommo Poeta e vorrei commemorare il ricordo di quest’ illustre uomo di cultura: dedicandogli quest’articolo. Dopotutto è per lo scrivere Suo che divenne celebre e credo che scrivendo di Lui sia il modo migliore per rendergli omaggio. C’è veramente qualcosa che lega una mosorrofana qualunque al poeta dei poeti? Esiste un collegamento per nulla azzardato e che cercherò di spiegare. L’idea mi venne leggendo la nuova fatica letteraria del professore Alessandro Barbero: “ Dante”. Barbero è uno dei più grandi storici del nostro tempo, capacissimo divulgatore e scrittore. Nel suo libro analizza il Fiorentino come “uomo del suo tempo” e fa numerosi riferimenti alla vita pratica di Dante. Uno di questi riferimenti è proprio sulle donne descritte a partire dalle opere dantesche. Nella Commedia così come negli altri componimenti, anche se non sembrerebbe, si incontrano molte figure femminili. Nel fare questo paragone in breve tempo mi concentrerò solamente sulla Vita nuova e specie sul capitolo XXII. Il Fiorentino racconta che poiché era morto il padre di Beatrice decide di recarsi a casa di questo. Come diremmo noi va al “visitu”, con l’intenzione non tanto di “fare le condoglianze” quanto invece di riuscire in quell’occasione a vedere la donna che (sappiamo tutti) amava; ma ahimè! non riesce nemmeno a starle accanto: “Secondo l’usanza de la sopradetta cittade, donne con donne e uomini con uomini s’adunino a cotale tristizia, molte donne s’adunaro colà dove questa Beatrice piangea pietosamente” (Vita Nuova XXII)Nella stanza dove si trovava il feretro potevano entrare solo le donne mentre gli uomini secondo: “l’usanza de la sopradetta cittade” restavano all’esterno. Dante è trattenuto dalla consuetudine per cui non riesce ad entrare nella camera dove sta Beatrice, gli vien da commuoversi ma le donne che escono dalla casa e lo vedono piangere sgridano il Poeta dicendogli: “Lascia pianger a noi”. Un usanza che anche a Mosorrofa resisteva fin qualche decennio fa. Se anche qui, uno qualunque dei nostri antenati, attratto dall’amore di una donna avrebbe fatto ugual cosa, sarebbe stato sgridato come quelle fiorentine del 1200 sgridarono Dante. E altri paragoni potremmo farli col matrimonio; sappiamo bene che questo all’epoca di Dante come qui nel secolo scorso era prima di tutto un “contratto”. Un matrimonio combinato fu sia quello che portò Beatrice a nozze, sia quello che portò Dante stesso a sposarsi con Gemma Donati. Potremmo farlo anche con le celebrazioni liturgiche, alle quali uomini e donne erano divisi, ognuno occupava una navata diversa della chiesa (oltre la forte segregazione fra i sessi della Firenze del 200 è da prendere in considerazione anche l’aspetto religioso di questa distinzione, che non posso trattare in quest’occasione). In Dante si legge spesso di donne che stavano tra donne e uomini tra uomini, la distinzione dei ruoli in famiglia così come nella società era netta. Alcune di queste distinzioni ben riflettono anche la nostra società passata specie la condizione femminile. Una società complessa, per nulla semplice da interpretare era quella dei nostri antenati, nella quale alle donne sembra non esser assegnato alcun ruolo di degna importanza. Le donne sono atte alla
Procreazione, alla cura della casa e sottomesse al marito. È questa l’idea rozza e grossolana che abbiamo della donna nella storia, una figura marginale della società rispetto l’uomo. È veridica quest’ immagine che riferiamo particolar modo al medioevo ma che pensando ai secoli successivi fin al novecento, sembra comunque esser valida. Nella cultura dei nostri nonni però la donna ha comunque uno spazio circoscritto nella comunità, uno spazio tutto suo, ben documentato già nel medioevo di Dante. Lo spazio (oserei dire) della vita! Ma cosa intendo per spazio della vita? Nella vita di un essere vivente distinguiamo fin dalle ore di scienze a scuola che esso: nasce, cresce, si riproduce e muore. Ora in queste fasi, prese per modello, alla donna in comunità erano assegnate la prima e l’ultima. Le donne curavano la nascita dei fanciulli, fin dal parto al quale partecipavano esclusivamente donne. Nessun uomo avrebbe azzardato a dire cosa fare in quel momento. È qui poi che emerge la figura sia della levatrice che della nutrice. La venuta al mondo di un essere umano passa dalle mani di una donna. Poi l’essere appunto cresce, si riproduce e muore. È in queste parole racchiusa la vita di ognuno di noi con una cattiveria linguistica enorme, non sto certo dicendo che la vita vada rinchiusa entro queste fredde parole perché è fatta di mille altre cose. Ma se continuiamo seguire questo schema arriviamo alla fine del ciclo: la morte, che in modo speculare alla nascita è anch’essa: “zona d’influenza femminile”. Sono le donne che nella Firenze di Dante così come nella Mosorrofa di un qualunque Demetrio: vanno a lavare il morto, lo vestono e lo piangono. Quel piangere che suona ritmi greci per il quale famose erano le “bagnarole”, esisteva anche qui da noi. Anche nel Decamerone si dice che le donne entravano nella casa del morto per il compianto funebre e gli uomini aspettavano fuori. Piangere un morto era esclusivamente appannaggio delle donne che così come mettono al mondo uomini così allo stesso modo si occupavano del loro trapasso. Perdonate la forse troppa concessione data a questi collegamenti ma mi premeva trovare un accordo tra la nostra cultura e quella in cui visse il grande Alighieri; allo stesso tempo dare alla donna il ruolo che merita nella storia. In un periodo dell’anno che anche permette una riflessione su questi argomenti. È vero che le donne erano tenute ingiustamente in disparte dalla vita e non solo da giovinette, la mia è solamente una considerazione che credo in qualche modo dia riscatto alla figura femminile, dia riscatto a quella donna semplice che anche nella più sperduta periferia della storia, qual poteva essere benissimo Mosorrofa, ha così una dignitosa ribalta. Questi paragoni ci aiutano a formare una consapevolezza che serve ancor più oggi, contro la mentalità malata della violenza di genere e verso una più equa emancipazione femminile. “Il sesso biologico non dovrebbe predeterminare il sesso sociale”. E vorrei ricordare che dopotutto la protettrice della nostra vallata fino a un secolo fa era una donna, e non una qualunque. Era la protettrice delle malattie al seno: Sant’Agata martire, avvocata di tutte quelle donne che soffrono a causa di malattie e abusi, così tanto venerata anche dai nostri antenati Mosorrofani. Questa visione spero dia l’immagine di una donna al centro della vita di ognuno di noi oggi così come di ognuno dei nostri avi in passato. Dalle sue mani sia nella Firenze di Dante che nella nostra Mosorrofa passano la vita così come la morte.