Il "delegato" del Podestà e l'oltraggio all'onore

La mattina del 27 maggio 1943, un camion militare dall’inconfondibile colore grigio verde carico di farina percorre lentamente la strada rotabile, stretta e piena di curve, che da S. Sperato conduce a Mosorrofa.

La notizia dell’arrivo del veicolo si sparge velocemente prima ancora che raggiunga il centro abitato. La piazza si popola rapidamente, soprattutto da donne pronte a riempire le loro sporte.

Con l’entrata in guerra, la crisi dei generi di prima necessità si fa sentire anche in paese. Mancano soprattutto pane e farina. Di questa, soltanto nascostamente, magari tramite parenti o conoscenti che dimorano nelle campagne, si riesce a procurarne qualche mezzo sacco mentre il pane, quando si trova, è solo nero. Quello bianco, un miraggio riservato a pochi. La popolazione è quasi raddoppiata in quanto vi sono molti sfollati provenienti dalla vicina Reggio.

In applicazione alla legge sul razionamento, la distribuzione di più largo consumo si effettua esclusivamente attraverso la” tessera annonaria”, ma da alcuni giorni, recandosi nelle poche botteghe, capita che le scorte negli scaffali siano terminate. Il ricorso alla borsa nera diventa un fenomeno diffuso.

La popolazione di Mosorrofa, è anche molto provata per i continui allarmi della zona e per qualche bombardamento aereo. Uno di questi, secondo indiscrezioni, avverrà proprio qualche mese dopo e avrà come obiettivo il mulino Crucitti, ma la bomba sganciata dai quadrimotori anglo-americani, sbagliando il bersaglio prefissato colpirà una modesta abitazione nelle vicinanze.

In queste circostanze, l’arrivo dell’autocarro è visto come un segno della provvidenza.

Il  ”maresciallo a riposo” della Regia Guardia di Finanza, Giuseppe Nicolò, assieme a buona parte degli individui presenti, nota però che il mezzo sta facendo marcia indietro. Si apprende che è diretto verso Cardeto. Probabilmente aveva sbagliato destinazione. Si teme per l’ordine pubblico. Il camion potrebbe essere assaltato e saccheggiato dalla folla inferocita. Ma, forse perché scortato, riuscirà a raggiungere il centro aspromontano ripercorrendo la strada di ritorno sino a S. Sperato per poi risalire lungo la Vallata del  S. Agata. Non esiste ancora la strada Mosorrofa - S. Salvatone, né quella che conduce ai campi.

Avendo poco dopo, incontrato per strada il “delegato podestarile” Cozzupoli, che doveva rappresentare e tutelare gli interessi della frazione e del quale il Nicolò si riteneva “buon amico”, questi gli domanda come mai, essendo tutta la popolazione priva di generi alimentari ormai da diversi giorni, la farina non era stata distribuita. Nel frattempo anche alcuni abitanti  ”in fermento” incominciano a lamentarsi col delegato per la disorganizzazione. Gli si rimprovera che il razionamento non funziona come dovrebbe e che la quantità sufficiente di cibo per il minimo fabbisogno quotidiano non viene garantita. Sapendo poi che il paese di Cardeto proprio recentemente era stato rifornito di approvvigionamenti, gli animi si surriscaldano ancora di più.

Nella lunga dissertazione avuta con il Nicolò, il delegato ritenendo che vi siano state parole offensive nei riguardi della sua persona, non ci pensa due volte a sporgere denuncia. In sintonia con le convinzioni autoritarie del regime fascista, ritiene che l’oltraggio che gli è stato rivolto, offende prima ancora che un interesse individuale quale il suo onore, un interesse di rango pubblico quale il prestigio ed il decoro della Pubblica amministrazione. Per Nicolò “immune di qualsiasi precedente penale e padre di numerosa famiglia”, le cose si mettono male. Adesso rischia una reclusione dai sei mesi a tre anni perché in luogo pubblico e in presenza di più persone, ha vilipeso un pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni.

“Con rammarico della popolazione” l’ex finanziere viene portato a Cataforio e trattenuto in caserma dai Reali Carabinieri i quali dopo “immediate indagini”, ritengono di rimetterlo momentaneamente in libertà.

Nel processo che si tiene circa nove dopo presso la Pretura di Gallina, il Regime è da poco crollato ma l’articolo 341 del cosiddetto “codice fascista”, nel quale il Nicolò era incappato, non era stato ancora abolito. Durante il dibattimento vengono ascoltati alcuni testimoni. Uno di essi, Vincenzo Vita, riferisce che con ogni probabilità il Cozzupoli aveva equivocato sul significato delle parole del Nicolò in quanto quest’ultimo si era limitato soltanto a sollecitarlo sulla fornitura della farina al paese. Il giudice, poi, forse perché il “clima politico” è ormai cambiato, non dà eccessiva fede alla testimonianza delle guardie municipali Morabito e Minniti che all’epoca dei fatti erano in giro “per il servizio dell’alimentazione” perché, essendo i due alle dirette dipendenze del Cozzupoli, facilmente avrebbero potuto, per logica compiacenza, confermare quanto denunciato dal delegato podestarile. L’incresciosa vicenda dell’imputato, può così concludersi con la sua assoluzione per insufficienza di prove.