La vecchia fontana compie 150 anni!

La storia di un “monumento” ormai abbandonato al degrado

 

Dopo anni di richieste, proteste e petizioni persino al Re Ferdinando II di Borbone si decide finalmente di dotare l’abitato di Mosorrofa di una pubblica fontana. Per abbattere i costi di una lunga conduttura e per risparmiare sulla manodopera, il comune di Cataforio, abbandonando il progetto originario che ne prevedeva la realizzazione al centro del villaggio, decide di costruirla su una delle sponde della fiumara Carbone, luogo abbastanza distante dal paese, attirando così le proteste e lo scontento della popolazione.

Ma i timori che le rimostranze e le disapprovazioni potessero mandare tutto in fumo, alla fine, fanno accettare alla moltitudine quella decisione affinché, si possa “avere acqua pura e non melmosa come per lo passato, e presente” e purché la fontana, soprattutto a causa delle piene invernali che ne rendevano difficoltoso il guado, “fosse al di qua del fiume”.

Nelle tantissime istanze inviate alle autorità gli abitanti avevano infatti esposto il loro miserevole stato di dover penare di sete per mancanza di acqua potabile, sottolineando che erano costretti a rifornirsi in piccoli ruscelli che nemmeno scavano “il letto del fiume” e che quindi nel riempire i loro contenitori raccoglievano “più pietre che acqua”. Tutto ciò in grave pregiudizio della loro salute.

Il medico condotto viene così incaricato dal comune ad occuparsi dell’analisi delle acque che dovranno alimentare la novella fontana. Per realizzare l’opera si suggerisce uno scavo alla profondità di palmi 10 del torrente nel punto detto Caccia Beretta, “ove in atto col barbaro modo indicato si servono i naturali di Musorrofa” riunendo qui le sorgive di detto luogo, “con i mezzi dell’arte”, per poi, dopo un’altra serie di interventi, nei pressi della “carcara” del sig. Sarlo, formarsi una fontana a doppio canale con sottoposta vasca per abbeveratoio degli animali. La spesa, che poteva essere introitata dal taglio del bosco, viene quantificata in circa 357ducati.

Intanto passano due anni e non succede ancora nulla, ma quando le aspettative dei mosorrofani sembrano ormai disattese per l’ennesima volta, il Marchese Antonio Sarlo, persona molto influente nonché consigliere municipale e proprietario di molti terreni a Mosorrofa, tra l’esultanza della popolazione, decide di far costruire a proprie spese la fontana al centro del paese riservandosene però parte degli scoli e a condizione che il Comune si occupasse della manutenzione necessaria.

In una delibera del 29 aprile 1867 leggiamo così quanto segue: “Il consiglio, considerato che l’operazione che vuole eseguire il prefato sig. Sarlo è veramente filantropica portando positivo vantaggio alla popolazione di Mosorrofa. Considerato che sarebbe una incongruenza riluttare ai desideri ed alle condizioni di una persona che col proprio denaro intende fare un pubblico bene. Considerando che la quantità delle acque che si intendono condottare supera di molto i bisogni di quella borgata. Il consiglio a voti unanimi delibera che possa costruire la fontana di cui ha cenno ritenendo un terzo dell’acqua da incanalarsi per i propri usi e due terzi servissero ad animare la fontana”.

Ad opera di un privato cittadino viene quindi ripreso il “colossale progetto” originario che per le “limitate forze del municipio” si era arenato.

Dopo il via libera da parte del Comune passa ancora più di un anno e, Il 20 luglio del 1868 si effettua un sopralluogo assieme al perito murario Antonio Massara il quale, avendo esaminato la spianata della Chiesa Parrocchiale, individua il punto più adatto ad erigersi la “parte monumentale” della cennata fontana che occuperà tre metri e centimetri cinquanta quadrati di suolo pubblico. Tale spazio, distava, un metro dal muro di prospetto della casa di Santo Surace, e metri due e cent. 70 da quella del parroco.

Le attese non sono però ancora finite e i mosorrofani saranno ancora costretti per più di tre anni “a mendicare detta acqua nelle stagioni invernali, in quelle torbide e limacciose del fiume e, durante l’estate nelle piccole fossette che conservano gli avanzi nel fiume Carbone al punto detto Caccia Berretta”.

Finalmente, Il 14 novembre del 1872, si autorizza il Sarlo a scavare e collocare i tubi di creta nei quali saranno convogliate le acque esistenti nel fondo di località Catusi cedutogli dal proprietario canonico Margiotta, sino allo spiazzo della chiesa parrocchiale dove farà costruire una decente fontana con uno o due canali secondo il volume delle acque di cui potranno fruire gli abitanti.

La fontana, essenziale nelle sue forme, senza grandi decorazioni, è però funzionale per sostenere le esigenze quotidiane della comunità e, quando i gettiti scroscianti incominciano a prorompere dalle sue bocche di ghisa per la prima volta, lo giubilo generale diviene incontenibile, diventando ben presto il fulcro della vita del paese. Un vero centro di attrattiva, in quanto le donne oltre ad attingere l’acqua, e gli uomini che portano le loro bestie da soma ad abbeverarsi nella vasca di pietra che si trova sotto al di sotto dei getti, possono appurare le notizie sugli avvenimenti della giornata. Un via vai di persone che giunti davanti a questa icona della “conquisa sociale”, anche se sgomitano per riempire finalmente i loro orci e barili si risparmiano la fatica di percorrere il lungo e tortuoso tragitto sino alla fiumara.

Per la realizzazione di quest’opera non mancheranno però al marchese le accuse da parte dei suoi avversari politici e le battute ironiche dei Catafuroti i quali sostenevano che egli l’avesse fatta costruire solo per irrigare i suoi fondi, nonchè di voler far sposare la sede municipale a Mosorrofa.

Circa vent’anni dopo, a causa delle piogge della stagione invernale, la fontana si era resa quasi inservibile per il danneggiamento della vecchia tubatura. In seguito ad un’istanza inviata dai “naturali” del paese al sindaco filo-mosorrofano Mezzatesta (che spesso risiedeva nella sua proprietà di Sala) riceve tempestivamente “le riparazioni necessarie” grazie a una delibera della sua giunta la quale vota anche all’unanimità “ a procedere alla nomina di un ingegnere per la compilazione del progetto per sostituire i tubi di ghisa a quelli di terracotta resi inutilizzabili per le continue interruzioni causate dalle radici delle piante”. Ma probabilmente i costi eccesivi per tale sostituzione ne frenarono al momento i lavori che, come vedremo, saranno ripresi più in avanti.

Anche se non esistevano ancora veri e propri “allacci abusivi” non mancano però delle frodi: Il 3 settembre del 1889 Antonia Marrara di Domenico di anni 30, da un foro esistente nella tubatura della pubblica fontana e che si copriva soltanto con una pietra mobile, estraeva il prezioso liquido ed in vicinanza lavava dei panni, la cui acqua “insudiciata” di sapone entrare nella tubatura stessa.

Il luogo, oltre a favorire teneri incontri tra innamorati, diventava a volte teatro di vere e proprie risse e spesso dalle parole si passava ai fatti come quando, il 13 giugno del 1928, Caterina Fotia di anni 19, a causa di uno presunto sputo, afferrò per i capelli Maria Morabito di 22. Nella colluttazione le due donne riportarono delle lesioni guaribili in dieci giorni e condannate successivamente dalla pretura di Gallina a pagare una multa salata.

In una nota del 24 maggio 1907, ritenuto che le acque non erano abbastanza fresche, viene deliberato all’unanimità di provvedere a togliere tale inconveniente delegando il sindaco “a fare studiare la posizione delle cose e presentare analogo progetto”.

Vengono spediti all’Ufficio Chimico-Batteriologico di Roma, per ordine ministeriale i rispettivi campioni, e l’acqua classificata “seconda”. Data la natura della conduttura (ancora in argilla) e la estensione e superficialità di essa, non si era potuto evitare ancora una volta l’infiltrazione delle radici di annosi alberi che si trovano sul suo corso.

La tubatura si era deteriorata al punto da rendere l’acqua inquinata perché accessibile agli animali ed ai passanti, e quindi secondo il dott.  Demetrio Sorgonà, che ricopriva l’incarico di Ufficiale Sanitario, era stata causa di varie infezioni soprattutto di natura gastrointestinale.  Si rende quindi, ora più che mai, indispensabile e di somma urgenza una nuova conduttura in ghisa, che il comune provvederà a realizzare grazie all’interessamento del sindaco mosorrofano Orazio Sorgonà. La spesa sostenuta per i lavori ascende a ben lire 10470,09, mancando poche altre riparazioni “per una migliore freschezza”.

Grazie a questi interventi provvidenziali, l’acqua aveva riacquistato la sua potabilità, prova ne era che le malattie infettive non si manifestavano quasi più.

Il terremoto del 1908 provoca però nuovamente guasti alla nuova opera e le bocche di erezione cessano di emettere la solita quantità di acqua. La perizia viene affidata all’ing. Carlo Zappellini. Per i lavori vengono coinvolti lo stagnino Giuseppe Campolo, il fabbro ferraio Demetrio Caridi e il giornaliere Giuseppe Ripepi.

Manutenzione periodiche sono ancora attestati nel corso degli anni grazie soprattutto alle pressioni dei consiglieri “mosorrofani” che siedono “tra i banchi” del comune di Cataforio.

Raccontare quello che è accaduto da allora sino ai nostri giorni è altrettanto interessante ma richiederebbe altro spazio da sottrarre a questo giornale. Ne riparleremo…forse in altre occasioni!