Mosorrofani nell'oblio: la storia del prete Iero
Nel 1815, in una lettera inviata all’Arcivescovo di Reggio, Il novizio Antonino Iero di Mosorrofa, figlio di Demetrio e Agata Romeo, “per la maggior gloria di Dio e per servizio della S. Chiesa”, chiede di poter ascendere al sacerdozio. Prega pertanto il presule, che nella prossima ordinazione di dicembre si degni ammetterlo alla tonsura ed ai quattro ordini minori. La cerimonia del taglio dei capelli era infatti il primo gradino per arrivare al sacerdozio e segnava il passaggio dallo stato laicale a quello clericale.
Gli accertamenti di rito sulla sua condotta morale e penale danno esito positivo. Il parroco pro tempore di Mosorrofa, Filippo Sorgonà, in una lettera alla Curia ne attesta infatti l’idoneità, mentre il cancelliere della Giudicatura di Pace del Circondario di S. Agata “avendo perquisito i registri delle cause correzionali e delitti criminali”, non trova in quelli annotato il sig. Antonino Iero né il medesimo “è stato mai querelato di semplice polizia”.
E poiché quando un figlio esprimeva il desiderio di volersi fare prete, i genitori dovevano fornirgli il cosiddetto “sacro patrimonio” per provvedere coi redditi da esso derivanti al suo sostentamento, la famiglia chiama un pubblico agrimensore, il quale, recatosi in un fondo sito in contrada Tracali, limitante per borea, scirocco e montagna con i beni di Francesco Russo “apprezza” una terra seminatoria di quattronate sei, con dei fichi, nove carichi di gelsi neri, roveri ed altri alberi di frutto, 12 piedi “olivari grandi” che “donano di frutto dieci macine” e 40 piedi di “olivarelle davanzo”. Il tutto viene valutato per 862 ducati. Di tale somma, Demetrio Iero decide di assegnarne 500 a titolo di “sacro patrimonio” al figlio Antonino il quale come già detto “desidera ascendere allo stato ecclesiastico”. I beni erano per il diritto canonico, inalienabili e insequestrabili e alla morte del sacerdote sarebbero comunque ritornati nella disponibilità della famiglia. Essendo che il nonno paterno del futuro sacerdote, il notaio Antonino, aveva lasciato in eredità diversi possedimenti nel territorio mosorrofano non crea in ogni caso disagi di natura economica.
Nel frattempo Francesco Mazza professore di “grammatica superiore” presso il Real Liceo di Reggio inaugurato appena qualche anno prima, sottoscrive che il clerico Antonino Iero ha frequentato con profitto la sua cattedra, mentre sotto la guida dell’abate Giuseppe Moschella ha studiato lingua latina e teologia morale. La strada è aperta per bruciare in fretta tutte le tappe. Per la prossima ordinazione di Pentecoste, il Iero può quindi ascendere agli ultimi due ordini minori, ovvero il lettorato e l’accolitato, ministeri essenziali per accedere a quelli successivi più ”impegnativi”.
Nel settembre del 1817, dopo il suddiaconato e il diaconato, gli ordini sacri maggiori, “stante la grandissima necessità” della parrocchia di Mosorrofa, “ove in un paese di circa novecento anime non vi sono altri che il parroco ed un altro sacerdote” chiede essere ammesso all’ordine presbiteriale, ovvero all’ordinazione sacerdotale. Può così essere insignito della facoltà di presiedere le cerimonie religiose, guidare una comunità, predicare, impartire i Sacramenti, svolgere insomma tutti i compiti pastorali, ed eventualmente presiedere una parrocchia come parroco.
Il fatto che abbia richiesto di svolgere la sua attività nel paese d’origine può essere motivato col fatto che il titolare della parrocchia, il Rev. Filippo Sorgonà, ormai avanti con gli anni, abbia avuto la necessità di avere un valido aiuto ed essere sostituito in caso di necessità.
Non sappiamo se nel corso della sua vita Antonino Iero abbia avuto o meno una parrocchia. Il suo nome riappare solo a distanza di tantissimo tempo in un documento del maggio 1854. Quanto basta per capire che, come suo nonno, il quale esercitava la professione notarile in paese, questo sacerdote rimase probabilmente per lungo tempo un punto di riferimento importante per la comunità mosorrofana.