Ricordo del Maestro Vincenzo Leotta
Ne è passato di tempo, ma è arrivato il tempo di rendere omaggio al maestro Vincenzo Leotta. Potremmo dire «aspettando il 10 agosto» perché questa è la data che abbiamo scelto per onorare al meglio la figura di un uomo che per diversi lustri è stato l’anima della cultura musicale a Mosorrofa. Mentre le stelle cadenti tracceranno scie luminose nella notte di San Lorenzo, prenderanno la via del cielo le note dei tantissimi che hanno deciso di riprendere anche solo per una notte quel glorioso strumento che aveva portato allegria e cultura nelle assolate giornate di un tempo lontano. Li immagino già alle prese con flaconcini di sidol e olio di gomito per presentarsi in grande spolvero al concerto in “ Omaggio a Leotta” . Cercheranno in fondo a qualche scatola dei ricordi il famoso «quaternu». Il maestro Leotta non aveva abbandonato la cadenza del dialetto di Stilo, ove era nato nel 1916. Scritto rigorosamente a mano iniziava sempre con un dogma «La musica è l’arte dei suoni con la quale si esprimono i diversi sentimenti dell’anima di Dio». Come non ricordare il primo contatto con il mondo della musica, il primo concerto dopo tanto studio. Alla Villa Comunale avevano costruito la cassa armonica, un palco in legno forma di pagoda. Qualche marcia per riscaldare gli strumenti poi: Aida, Nostalgico Ottocento, Nabucco. A sera arrivava il tempo di chiudere in bellezza con il canzoniere. Allora la rivoluzione portata dagli americani non si era ancora concretizzata pienamente. Prendete il Canzoniere ripeteva il maestro e mentre Reginella, O Sole Mio e torna a Surriento si accavallavano, arrivava il momento della chiusura e la versione strumentale di Tic-tì tic-tà (gira, rigira biondina) prendeva corpo. Gira e rigira Biondina l’amore, la vita godere ci fa. Quando ti veggo, piccina! ...il mio cor sempre fa tic-ti tic-ta. La scrisse nel 1920 Gaetano Lama su testo di Francesco Feola, talmente moderna e trainante che spesso il maestro decideva di chiudere il concerto con i battiti del cuore di Tic-ti tic-ta. Una lisciatina ai baffi , un leggero battito della bacchetta sul leggio per chiedere attenzione e via con il ritmo, spesso scandito dal numeroso pubblico. Poi con un secco stacco il maestro “spegneva” la banda, si girava verso il pubblico, accennava un inchino e salutava ... “ natr’annu megghiu” e mentre la piazza si svuotava dalla gente alla ricerca della postazione migliore per ammirare i giochi d’artificio, forse lui, mentre riponeva la bacchetta sul leggio, stava già pensando come trovare la chiave giusta per portare l’amore per la musica, al bambino che chiuso nella sua timidezza, il prossimo martedì, si sarebbe presentato da lui salendo i gradini tondeggianti della «Chiesa delle Anime del Purgatorio » e tutto d’un fiato avrebbe detto «mi vogghiu scriviri a Musica».