"Scendi a Natale?"
“Scendere” impone l’esistenza di un sopra, di un altezza, di un alterità sovrastante, di un movimento che parte da “Nord”. “Natale” è la forza che muove verso il basso, è la festa della “bassezza”, è una spinta gravitazionale che riconduce tutti verso un centro. Nasce un bambino, nella condizione più misera dei miseri, più bassa dei bassi, in una stalla infondo alla città, senza mezzi toni e senza mezze altezze. Per tutti i giovani che son dovuti partire da questa terra, il Natale rappresenta: “il ritorno”. O un’occasione per farlo. Non è solo un giorno rosso sul calendario, è molto di più! Qui da noi, nel sud del mondo, come partecipare ad un pranzo familiare non è solo un invito ma è soprattutto un “ti voglio bene”, così il ritorno non è solo “rimpatrio” ma assume tutt’altra valenza. Quando si va nei siti online a cercare l’offerta migliore, quando si perdono intere giornate a prenotare voli, treni con scali improponibili, navette e taxi, qual è la forza che muove quel mouse se non l’amore? Si scende perché Natale è “giù”, Natale è in direzione degli affetti, Natale è quella festa che il detto ha consacrato “con i tuoi”. Natale non può essere sopra, non può essere un giorno che tende alle altezze perché è il momento in cui ci si rende conto di chi vive alle fondamenta di questo consumismo. Ci si rende conto dei più poveri e si da loro ascolto, ci si rende conto dei più bisognosi e si da loro ciò che necessitano, a “Natale siam tutti più buoni” si sa, siam uomini e abbiamo bisogno di spunti per esser più di quanto siamo. Natale è una festa unidirezionale, una festa delle bassezze.
Se si scende allora prima si è saliti, prima si è partiti. Siam nati per condanna o per fortuna al di sotto di un punto di vista. Il punto di chi distingue nel lavoro e nell’economia la ricchezza di una regione, la condanna di esser lontani “dal lavoro che nobilita” e la fortuna di poter nascere già nobili. La nostra nobiltà è uno status che determina il privilegio della consapevolezza. Sì! Perché ci vuole tanta consapevolezza per partire, altrettanta ne serve per rimanere. Bisogna esser consapevole di dover straripare/allungare le radici, l’esser consapevole di vivere nella precarietà, l’esser consapevole di dover sopportare il sacrificio della lontananza e l’esser consapevole di vivere nell’ostilità di una terra apparentemente inconsapevole.
Un futuro apparentemente precluso è già esso stesso negato? Possiamo convivere con la speranza o la speranza è lontana da qui? Dove va ricercato il futuro? Nelle comodità di avvicinarselo o nella capacità di costruirselo? Tante sono le domande, non pensate che i giovani non se ne facciano; a certe qualcuno trova una sua risposta altre invece restano filosofiche questioni. Riusciremo a crescere dove siamo nati o la nascita è solamente un “nato il … a ...” mentre la residenza insegue il contratto a tempo indeterminato?
Scendere come salire non precludono il loro contrario, sono spesso movimenti di ritorno, un movimento di opposti. Chi siamo? Da dove veniamo? Chi vorremmo essere? Dove vorremmo andare? Chi crediamo di essere? Chi vorremmo diventare? La nostra identità poggia su un equivoco, non è rinchiusa in leggi, è messa continuamente al banco degli imputati. Attendere un futuro migliore? O annullarsi così come fa il sole sul declino della sera. Tornerà anche lui puntuale il giorno dopo, ma nel frattempo è notte, è buio, è incertezza. Come ci si orienta nell’oscurità? Questa vita al sud sembra abbia la sola certezza che anche noi, come il sole ci annulleremo sulla pista di un aeroporto, con la differenza che lui riesce a trovare il coraggio ogni giorno di rimetterci la faccia.
Quando chiediamo ai nostri parenti e ai nostri amici se “scendono a Natale” e come se chiediamo di riconfermare un amore. Che fai mi ami ancora? Torni da me? Non dobbiamo aspettarci una risposta secca e nemmeno risentirci se è negativa. Quanti dubbi pervadono chi deve portare avanti una relazione? Non lo chiediamo solo a loro, e non siamo solo noi a dire “scendi a Natale?” Perché siamo legati da fili indipanabili che ci legano e ci slegano alle vicende di chi vogliamo bene e che ci intrappolano alla trama di una terra bellissima che ci richiama. Richiamano i muretti a secco, una panchina, una strada, una casa, un lampione, un tramonto, una vista. Un amore è anche comprensione e se alla domanda ci viene risposto “no”, cercheremo di misurare quella negazione, perché ha tanti fattori che la determinano e di certo non intende dire “non t’amo più”. Dovremmo forse cercare di comprendere i nostri tempi, dovremmo chiedere scusa alla nostra amata, troppe volte rinnegata e tradita, dovremmo tornare ad ascoltarla, dovremmo servirla, portarla a cena, preparale la colazione, pettinarle i capelli. E solo allora nessuno dovrà più farsi la valigia.
E tu che fai scendi a Natale?