Spopolamento...

Il fenomeno dell’emigrazione giovanile nel  nostro meridione,   ha assunto proporzioni considerevoli nell’ ’ultimo decennio. E’ vero che la Calabria, è sempre stata terra di migranti. I calabresi sono abituati alla partenza, all’idea che prima o poi, quando diventerai grande, te ne dovrai andare. Perché “qui non c’è nulla”, “non puoi costruirti un futuro qui. Vattene e non tornare!”. E bello leggere i  libri del prof Vito Teti  sui nostri magnifici “non luoghi”,  meraviglioso  il suo invito alla “restanza”, vocabolo che è entrato nella Treccani ma  ti assale   un senso di smarrimento che pervade il cuore e la mente, quando devi fare i conti con la realtà.

Per decenni, masse di uomini e donne si sono da sempre mossi verso un’aspettativa più ampia, un’idea di vita migliore nelle città del Nord Italia,  in Europa negli Stati Uniti  o in Canada. Il primo flusso di migranti iniziò alla fine dell’Ottocento, dopo l’Unità d’ Italia, poi negli anni ’50, fatto da gente  che aveva sperimentato la durezza della vita al Sud, la vita contadina mal retribuita, la carenza di beni primari come  l’acqua, un tetto decente,  la mancanza di  strade e scuole adeguate , l’impossibilità di avere una formazione, una vita onesta, giusta,  un futuro. E tuttavia, in molti   credevano un giorno di ritornare , si mandavano le “rimesse” , si pensava di costruire appartamenti  per i figli.  Oggi purtroppo anche nella nostra Mosorrofa, similmente a tanti centri del sud,  contiamo a centinaia gli appartamenti vuoti.

Ai nostri giorni , ciò che inquieta  è il fatto che la maggior parte degli emigranti appartiene a una fascia d’età che non ha mai sperimentato  tale durezza e che comunque, decide di recarsi altrove. Sono giovani compresi dai 15 ai 34 anni quelli che ogni anno lasciano i nostri paesi, le nostre città, che sono oggi svuotate , con flusso sempre più costante ,di gente che salvo rare eccezioni, non ritorna. Secondo i dati allarmanti della Cgia di Mestre, rispetto al 2013, in Calabria ci sono 92mila abitanti in meno tra i 15 e i 34 anni. La Calabria è solo seconda alla Sardegna (-19,9%) come regione del Sud e subisce la flessione più importante con il -19%, seguita da Molise (-17,5%), Basilicata (-16,8%) e Sicilia (-15,3%), rispetto a una media nazionale di -7%. E nella classifica nazionale delle dieci province “svuotate”, quattro sono calabresi: Cosenza (-19,5) è la quarta più svuotata di giovani a livello nazionale, Catanzaro (-19,3%) la sesta, Reggio la decima (-18,8%). 

Quali sono le cause? Mancanza di investimenti, mancanza di lavoro, sfiducia nelle istituzioni? La “questione meridionale” che nel secolo scorso appassionò tanti illustri  studiosi, non è mai stata risolta.. Finora, i governi che si sono succeduti hanno fallito nel tentativo di contrastare questo stillicidio. Oggi si tenta di invertire la tendenza   con i presunti fondi del Pnrr o con  le Zes – le Zone Economiche Speciali – che dovrebbero attrarre nuovi investitori e creare nuove forme di lavoro. Vedremo  presto se questi strumenti porteranno reali prospettive di sviluppo. Con una classe dirigente e burocratica  come quella che opera all’interno  dei nostri enti locali, il dubbio e più che lecito.

Inoltre cresce in maniera esponenziale il numero di NEET (Not in education, employment or training), ovvero tutti coloro che non studiano e non lavorano. L’Italia è il paese europeo con più Neet (28,9 per cento) e la Calabria insieme alla Sicilia è la regione che detiene il primato per l’alta incidenza di questa categoria. Le quote della Calabria sono tra le più disarmanti (39,9%) e l’incidenza più alta si registra nella provincia di Crotone, dove più della metà delle e dei giovani residenti dai 15 ai 34 anni (il 51,4%) è nella condizione di Neet, seguita da quella di Reggio Calabria (47%). 

I problemi riguardanti la situazione meridionale e della nostra regione sono evidenti e tangibili e vanno dall’istruzione alla sanità, dalla mancanza di lavoro al’ assenza di infrastrutture , per cui spostarsi anche per pochi km  è spesso un’impresa titanica. 

Viene da chiedersi  come mai un  problema di tale gravità  giaccia sotto un’indifferenza latente. L’indifferenza di chi ai vari livelli istituzionali  non riesce ad attuare strategie vincenti, perché è” un male che c’è sempre stato”, che non necessita di interventi urgenti o un’emergenza su cui adoperarsi in fretta. L’indifferenza anche di chi resta, di chi vive in maniera scontata che parte della propria famiglia non abiterà più le vie in cui ogni giorno dal barbiere c’era la fila,   i bambini giocavano nelle   “rughe” o nelle strade.  I rioni erano vivi e al bar,  in parrocchia o alla sezione di partito  i giovani e gli anziani  si incontravano sempre . Ora, il barbiere è chiuso da anni,  , i bambini  sono pochissimi e per la maggior parte del tempo stanno chiusi dentro, le strade sono deserte e i bar possono  contare su pochi anziani che la mattina bevono il caffè e il pomeriggio vedono la tv. 

Questa, purtroppo non è più una terra per giovani e” l’autonomia differenziata” già passata in Senato senza alcuna garanzia sui Lep (livelli essenziali delle prestazioni) rischia davvero di portare a quella “secessione dei ricchi” che può comportare la definiva spaccatura del Paese.

Faccio mie le parole del vescovo calabrese Savino che invita i calabresi a reagire o sarà troppo tardi  «Dobbiamo agire adesso, quando la legge sarà approvata sarà troppo tardi. Dobbiamo scrollarci di dosso una certa apatia. Lo dico con grande amarezza ma spesso vedo il popolo calabrese rassegnato e fatalista, senza nessuna speranza in un riscatto futuro. Parlo per amore del mio popolo verso il quale ho una responsabilità assegnatami dalla Chiesa. Non faccio un discorso politico inteso come appartenenza a questo o quel partito. Faccio un discorso di politica con la P maiuscola intesa come partecipazione. Per questo sto avviando una serie di incontri di informazione e sensibilizzazione sul tema, perché le persone siano informate e in base a questo possano poi scegliere. Io amo molto questa immagine del popolo della beatitudine, cambiamo quello che non va nella società dal basso, con dolcezza, attraverso una rivoluzione mite, condannando ogni forma di violenza, cercando di essere cittadini consapevoli».