Transazioni immobiliari nel comune di Cataforio (1723-1726)

Tra i rogiti del notaio reggino Girolamo Chiantella, attivo nella prima metà del XVIII secolo, è possibile individuare alcune transazioni relative a immobili situati nel territorio di Sant'Agata. I tre esempi   qui   analizzati, in   particolare, si   riferiscono   al   casale   di   Cataforio, e   riguardano   una compravendita, una permuta e l'annullamento di una compravendita simulata. Il   caso   più   classico, molto   diffuso   tra   gli   atti   notarili   dell’epoca, è   quello   della   semplice compravendita: nella fattispecie, il 24 febbraio 1723 il reverendo Domenico Smorto di Reggio vende un fabbricato ai fratelli Antonino e Giuseppe Pellicanò di Sant'Agata. Si tratta di una «casa solarata coperta, et abitabile», e dunque più elevata rispetto a quella a un solo livello, più povera, detta «terranea». L'immobile è situato «dentro la Città sudetta di S. Agata nello burgo di Catafurio», tra la chiesa di Santa Maria delle Grazie e la chiesa dell'Annunziata, e confina con una casa di Giuseppe Marra e un'altra di proprietà dello stesso Giuseppe Pellicanò. Il prezzo pattuito è di 5ducati, che i germani pagano subito al religioso «in tanta moneta d'argento». Nove mesi dopo, due cittadini di Sant'Agata sono protagonisti di un'altra tipologia di transazione immobiliare abbastanza comune, quella della permuta, detta anche «permutazione». Il 28 novembre1723, nello studio del notaio reggino, si presentano Nicola Toscano del fu Francesco e il magnifico Natale Laboccetta del fu Consalvo, i quali, «per loro communi utilità, e commodità», intendono fare “cambio, e permutazione» di due loro rispettive case. Quella   di   Laboccetta   è   una «casa   terranea   posta   dentro   detta   Città   di   S.  Agata   nel   burgo   d Cataforio», precisamente nelle adiacenze della chiesa di San Pietro, che confina da due lati «colla casa solarata, e giardinello di esso prefato Natale Laboccetta». Il bene era stato preventivamente periziato «da   Giuseppe   Micale   mastro fabricatore, e   Giovanni Turria mastro falegname», che avevano stimato un valore di 25 ducati. Quella di proprietà di Nicola Toscano, invece, è «la mettà d'una casa solarata dalla parte di sopra, atteso [che] l'altra mettà di sotto è di Antonino Toscano suo fratello»; è ugualmente «posta in detto burgo di Catafurio» ma vicino alla chiesa di Santa Maria delle Grazie, ed è «limitante colla casa di Francesco Lazzarino, il casaleno di Paolo Morabito, via publica, et altri fini”. Gli stessi periti avevano valutato anche il secondo immobile, attribuendogli un valore di 28 ducati, «siché viene ad avanzare la mettà casa di esso Toscano in docati tre a quella del magnifico Natale Laboccetta, il quale per uguagliare paga» al primo la differenza di tre ducati «in tanta moneta d'argento contanti». Infine, un caso apparentemente strano, ma non inusuale nella Calabria del Settecento, riguarda l'annullamento   di   un   atto   di   compravendita   che   viene   formalizzato   il   27   novembre   1726   tra Giuseppe Polimeno del fu Antonio, nativo di Sant'Agata, e il reverendo don Giuseppe Taglieri, reggino del villaggio di San Sperato. «Otto anni addietro, prima di conferirsi [...] nella Città di Seminara ad abbitare», Polimeno aveva venduto a Taglieri un fabbricato e un vigneto – «benché simulatamente» – «per l'atti del Apostolico Notaro Reverendo don Giuseppe Megalizzi». Oggetto della transazione, nello specifico, erano una «casa solarata posta nel borgo di Cataforio nella detta Città di S. Agata, limitante colle case del Reverendo don Nicola Greco», e una «vigna posta nel tenimento di detta Città in contrata Pendola, limitante colli beni dell'eredi del quondam don Prospero Bruto, il magnifico Oratio Megalizzi, et altri”. Probabilmente, lo scopo della compravendita fittizia era stato quello di frodare il fisco, o ingannare eventuali creditori o terze parti, poiché «Taglieri non pagò denaro alcuno per detta compra, né usufruttò cosa alcuna delle medesime casa, e vigna, ma sempre ha percepito esso di Polimeno li frutti di quelli». Quali che fossero le reali motivazioni, venute meno le esigenze iniziali, al ritorno in città di Polimeno i due ripristinano la proprietà originaria dei beni: «et avendo esso di Polimeno ritornato, richiese [...] la retrocessione di detta casa, e vigna», che vengono quindi restituite da Taglieri «eo modo, et forma, che le furono [...] vendute», «cassando, et annullando il sopradetto atto di vendita, e tutto, e quanto in esso si contiene, [il] quale per l'avvenire non abbia alcuna forza e vigore e come se mai fusse stato fatto».