Un maestro "particolare" nella Mosorrofa postunitaria
Con una petizione al comune di Cataforio, inoltrata nell’autunno del 1863, alcuni abitanti del villaggio di Mosorrofa, chiedevano la conferma come maestro elementare, nonostante la sua età avanzata, del sacerdote Giuseppe Romeo, loro compaesano, “attesa la sua buona condotta e solerzia” con la quale si era distinto nel decorso anno scolastico. Dato che incarnava contemporaneamente integrità morale e propensione all’educazione dei fanciulli, la sua figura godeva di pieno appoggio e grande riconoscimento, anche se in passato, come vedremo più avanti era stato fatto oggetto di calunnie e diffamazioni e non ebbe mai la titolarità di una parrocchia.
Il suo ruolo svolto in un paese collinare, dove l’analfabetismo era molto diffuso e le condizioni sociali molto arretrate, gli aveva fatto però guadagnare la stima di buona parte della popolazione. Anche se in quel periodo l’obbligo scolastico era un optional, questo prete-maestro riusciva a fatica a raccogliere per poche ore un numero ristretto di fanciulli ai quali impartiva i suoi insegnamenti che andavano dalla religione alla lettura, dalla scrittura all’aritmetica, dalla lingua italiana al sistema metrico. Soprattutto per i bambini che vivevano nelle numerose contrade di campagna del paese la scolarità era però subordinata al ciclo stagionale dei lavori agricoli, oltre che alla difficoltà materiale per molti di loro di raggiungere la scuola e spesso riuscivano ad apprendere appena i rudimenti dell’alfabeto. L’istruzione elementare era gratuita ed articolata in due gradi, inferiore e superiore, della durata di due anni ciascuno.
A supportare la loro richiesta al Comune, i mosorrofani allegavano anche una certificazione del Reale Ispettore provinciale che attestava l’idoneità a ricoprire la carica d’insegnante e una dispensa che, considerata la sua età di 65 anni esonerava il sacerdote a frequentare “la conferenza magistrale”, una riunione periodica che si teneva in città a cui partecipavano gli insegnanti della provincia, in cui si parlava di metodi di insegnamento.
Allo stesso tempo anche un certo Vicenzo Malara senior aveva però presentato la domanda per essere “piazzato a maestro elementare in detto Mosorrofa”, esibendo a tal proposito un certificato col quale si attestava che egli, nel giorno 15 ottobre ultimo, aveva sostenuto un esame presso la scuola Normale maschile in cui veniva dichiarato abile all’insegnamento di grado inferiore. In quel tempo, infatti le scuole elementari inferiori potevano essere affidati a persone ritenute qualificate dall’ispettore ed eletti dal Comune. Per quanto riguardava la scuola femminile verrà nominata la maestra Caterina Pitarella. Ma spesso e volentieri il sistema dell’elezione dei maestri presso il municipio di Cataforio dava adito a diverse proteste ed il Malara che inizialmente sembrava aver ottenuto il suo scopo, si dovette accontentare di una “cattedra” nel vicino borgo del Salvatore con “lo stipendio a fissarsi”, mentre Romeo continuerà a ricoprire la sua carica a Mosorrofa sino al 1868, anche se il suo compenso che, secondo la legge era stabilito in 250 ducati annuali, a causa delle ristrettezze del comune non superava i 50. Le sollecitazioni da parte delle autorità scolastiche che invitavano il municipio a non trovare ostacoli all’aumento “per un uomo che molto e utilmente si affatica” restarono però lettera morta. Nonostante tutto, “la missione civilizzatrice” di Romeo che aveva contribuito a formare lo spirito unitario e a “destare le intelligenze”, continuerà ad andare avanti, e il suo lavoro dovrà sempre scontrarsi con la penuria di strutture e di strumenti atti a garantirne regolarità ed efficacia.
Le sue idee, favorevoli alla causa unitaria durante il Risorgimento, gli avevano procurato qualche problema. In una relazione della Curia veniva infatti definito in modo lapidario come una persona dalla “politica infetta da vecchio rivoluzionario”.
Mentre in una lettera di alcuni anni prima, datata 30 maggio 1854, Domenico Pitarella, inviava una lettera al Vicario di Reggio nella quale il Romeo tra le tante diffamazioni, veniva accusato di aver rinunciato assolutamente alla fede, “lacerando i legami come servo e ministro di Cristo”, non facendo altro che quotidianamente “propagandare in questo infelice paese tutte quelle cose che fa l’anticristo” e che addirittura lo scandalo che donava “non si poteva descrivere”. A margine della lettera erano elencati altri testimoni di Mosorrofa. Le accuse di Domenico Pitarella probabilmente erano prive di fondamento o perlomeno esagerate. Il fatto che appena venti giorni dopo ritrattava quanto aveva detto, scrivendo al Vicario che la lettera precedente l’aveva inviata “in tempo che la sua fantasia era troppo accesa ed agitata” fa sorgere qualche dubbio sulla veridicità di quanto affermato prima. Quel momento di astio si può spiegare col fatto che egli, essendo stato un ex soldato dell’esercito borbonico, le sue idee fossero in netto contrasto con quelle del “liberale” Romeo. Nel 1843 infatti era stato ammesso come recluta a servire Sua Maestà Ferdinando II, meritandosi diverse medaglie di fedeltà in occasione dei tumulti avvenuti a Messina il 1 settembre del 1847, nell’assedio della Real Cittadella del 1848 ed infine, durante la campagna di Sicilia nel 1849. Il fatto stesso poi che egli era anche il fratello del parroco pro-tempore di Mosorrofa può avere avuto in qualche modo, per cause che ci sfuggono, qualche relazione con quanto aveva scritto.
Terminata la breve esperienza di maestro, Romeo trascorrerà gli ultimi anni della sua vita continuando ad immergersi nelle amate letture o a sostituire qualche prete per brevi periodi nel suo paese natale. La colpa sua fu forse, quella di pensare che si potessero conciliare le esigenze della Chiesa, che comunque “a modo suo” continuava a rispettare, con quelle di una modernità, anche politica, che si stava facendo strada e che richiedeva la formazione di uno stato-nazione, come cosa inevitabile. Visse comunque ancora abbastanza per comprendere che quel cambiamento, in cui aveva riposto fiducia e speranze, aveva provocato solo squilibri e ingiustizie.