Un particolare furto in contrada Sant'Andrea

Un tal Demetrio Sorgona’ del Paese di Mosorrofa era solito tenere insieme con altri animali, in una casetta rurale sita in Contrada S. Andrea, anche un’asina. La mattina del 18 dicembre del 1848 si accorse però che la stessa gli era stata rubata.

Il Sorgona’ non ebbe dubbi fin dal primo istante, l’autore non poteva che essere Domenico D’Amico, ed infatti due giorni prima dell’accaduto sorprese il giudicabile nascosto nella mangiatoia all’interno della stessa casetta e così si convinse di andare a trovarlo.

Quest’ultimo tuttavia, la medesima notte si era recato a Gallico e, come ci riporta la sentenza[1] , verso la mezzanotte bussava alla porta di tal Domenico Cama, il quale ignaro di tutto acquistava l’animale corrispondendo 8 carlini al D’Amico (questi infatti aveva riferito al Cama di averla ricevuta da uno zio in permutazione di un fondo).

Nel frattempo, il Sorgona’, dopo tre giorni di ricerche, avendo saputo da alcune persone che il D’Amico qualche giorno prima era stato a Gallico per degli “affari”, si recava unitamente al figlio dal giudicabile, - il quale preoccupato della possibile vendetta dell’offeso confessava il furto – e successivamente tutti e tre si incamminavano alla volta di Gallico al fine di recuperare l’asina.

Il Sorgona’ conosceva in quel Paese un tal Paolo Pizzimenti che li condusse presso la casa di Domenico Cama, purtroppo presso l’abitazione di questi rinvennero soltanto la moglie di costui, la quale gli comunicava che il marito si era recato in un altro Paese al fine di vendere l’animale.  A quel punto, tutti e tre (Demetrio Sorgona’, il figlio Domenico ed il D’Amico) si fermarono a dormire presso l’abitazione di Paolo Pizzimenti.

Il giorno seguente, tuttavia, il D’Amico non si trovava più con loro, lo stesso infatti durante la notte si era dato alla fuga. I due Sorgona’, a quel punto, lasciarono l’abitazione di Paolo Pizzimenti facendo rientro in Mosorrofa, incaricandolo di recuperare l’animale.

Il Giudice, nel ricostruire l’accaduto chiedeva al D’Amico il motivo della fuga, e quest’ultimo durante l’interrogatorio rispondeva che l’unica cosa che poteva fare era quella si scappare.

Il giorno seguente, il Cama rientrava in Gallico riportando con sé l’animale. Anche su questa circostanza, il Giudice della Gran Corte Criminale di Reggio chiedeva, questa volta al Cama, il motivo della scelta di riportare indietro l’animale.  Lo stesso così rispondeva: “…mentre mi recavo a vendere l’asina, incontrai lungo la strada D’Amico Domenico, il quale mi chiese il prezzo dell’animale, a sentir ciò appalesai i miei sospetti su di lui e lo stesso, fingendo di voler depositare il superfluo peso del corpo, tosto si dileguò della sua partenza. Giunto in Gallico trovai verificati i miei sospetti, dopodiché’ da’ Pizzimenti intesi ciò che era avvenuto e che l’asina apparteneva a Demetrio Sorgona’.

Il Giudice della G.C.C di Reggio, durante l’istruttoria interrogò anche un tal Pasquale Nucara, il quale due mesi prima dell’accaduto aveva subito un furto di una giovenca del valore di 18 ducati nel Paese di Mosorrofa e lo stesso Nucara addebitava il fatto al D’Amico reo di averla venduta ad un tal di Reggio Angelo Bova. In relazione a quest’ultimo fatto il giudicabile, a sua discolpa, dichiarava che in quel periodo si trovava detenuto nel carcere di Napoli e che dopo la scarcerazione si era trattenuto in quella città.

In considerazione di tutti questi fatti la Gran Corte Criminale di Reggio con la sentenza del 18 agosto 1851 condannava Domenico D’Amico alla pena dei ferri per anni sette, alla malleveria di ducati cento per tre anni ed alle spese di giudizio.

 

[1] Sentenza del 18 agosto 1851 G.C.C presso A.S.R.C