Una fede che ci fa essere nudi e beati
Quando si vivono momenti di grande difficoltà, i disagi che ne derivano mettono in crisi le fondamenta del vivere e della convivenza e il tempo storico che stiamo vivendo, come ha detto Papa Francesco, costituisce un “cambiamento di epoca”.
Le varie istituzioni che da sempre hanno contribuito a dare stabilità e senso sia in ambito politico che in quello religioso, da diverso tempo stanno perdendo incisività, ancor di più dopo gli anni della pandemia e ultimamente con la guerra in Ucraina.
Ci ritroviamo smarriti e fragili, e, mentre imperversa la paura, aumentano le incertezze e la sfiducia. E’ anche vero, però, che i momenti di crisi, come il tempo che stiamo vivendo, possono essere occasione di ripensamento e di verifica, per ritrovare il senso di chi siamo e di dove andiamo e per ripartire con maggior consapevolezza e nuovo vigore. E’ proprio la capacità di mettersi in crisi che può farci crescere e maturare nella verità e nella libertà. La parola “crisi”, infatti, letteralmente significa “scelta”, “decisione”.
L’uomo è spinto dalla ricerca di successo e di conquiste, dal desiderio di possedere e dalla sete di potere. Se è vero che questa spinta è connaturale all’uomo che da sempre tende ad evolversi e fa parte del suo processo di crescita, nello stesso tempo può essere dettata anche dal desiderio di vedere soddisfatto ogni suo bisogno. Dunque, l’uomo continua ad intraprendere una lotta contro la povertà del proprio essere, sebbene sappia bene che nulla è suo, dal momento che non è padrone della propria vita, non potendola allungare neppure di un solo attimo.
La Bibbia ci dice che l’uomo è un essere povero, bisognoso in quanto creatura: tutto riceve come dono e così il suo essere povero è come ricolmato e rivestito. Della propria nudità, l’uomo e la donna (Adamo ed Eva) non ne avevano vergogna in origine, perché non l’avvertivano come mancanza o privazione. Pensiamo ad esempio un figlio in casa che pur bisognoso di mangiare non soffre la fame, poiché il cibo è lì accanto a se ed è sempre a sua disposizione. La fame, infatti, si soffre solo quando si è privi di cibo. Solo nell’uscire di casa, che è stata la condizione del non ascolto di Dio (peccato originale), ci si accorge della povertà (si accorsero di essere nudi) percepita come mancanza che diviene sofferenza, e così si cerca rimedio alla nudità (si coprono di foglie), vestimento per la vergogna, nascondimento per la paura, giustificazione e accusa per i sensi di colpa, fatica e dolore.
Gesù ha spogliato se stesso, sia del suo essere Dio che del suo essere uomo, svuotandosi di tutto e divenendo puro abbandono, piena fiducia e offerta totale di se stesso. Questa povertà che ha vissuto e accolto sin dalla nascita, l’ha sposata nel momento del suo battesimo ricevuto da Giovanni. In questo suo essere povero, Gesù ci rivela due cose: la prima è che Egli non ha nulla, poiché tutto è ricevuto in dono dal Padre; la seconda è che non trattiene per se nulla di quanto gli è stato dato, poiché offre tutto per noi e lo condivide con noi.
Gesù ci insegna a riconoscerci poveri per essere nella verità e ci invita ad amare la povertà per vivere nella libertà. E se per il peccato la povertà è percepita come privazione, assenza e perfino mancanza (morte), accettiamo questa povertà sofferta e viviamola come spoliazione di tutto ciò che ci fa essere senza Dio, ma viviamo questa povertà sofferta con quella fede che è sguardo da poveri rivolto al Figlio di Dio che, povero di tutto e in tutto, è divenuto tutto pienezza che si riversa sulla nostra povera vita per curarne le ferite e per rivestire a festa la sua nudità, e accolta nel Regno, ne celebra la sua beatitudine.