"Viva San Giuvanni"
È il grido che partiva dalle bocche dei mosorrofani in festa la notte della vigilia di San Giovanni, una notte diversa da tutte le altre notti nel “calendario dell’antropologia”. Ogni anno il 23 giugno gruppi di ragazzi e non solo, raccoglievano enormi cataste di legna, frasche e ramaglie per accendere un grande falò, inizialmente nelle campagne e sulla spianata della piazza e poi col formarsi del paese ogni rione aveva il suo “Luminaru”. Spesso si faceva a gara, tra scaramucce e ruberie, tra i vari gruppi di ragazzini a chi riusciva a fare il fuoco più grande. Come ci ricorda il Prof. Pasquale Crucitti autore del vocabolario Mosorrofano-Sant’agatino: “La gente e non solo i ragazzi, ammucchiava grandi fasci di frasche secche, che venivano accese al grido di viva san Giovanni! ... era gran festa, perché allora non c’erano altri divertimenti”. Ma ciò che può sembrare solamente un momento di svago è invece una tradizione tra le più antiche dell’umanità, mantenuta fin pochi anni fa anche nella nostro piccola frazione. Vorrei condividere con voi amici lettori le ricerche del grande professore inglese James G. Frazer considerato tra i fondatori dell’antropologia moderna il quale dedica un approfondito studio su quelli che lui titola: “I fuochi di mezz’estate o di San Giovanni”. Riporterò di seguito alcuni estratti del testo: “il Ramo d’oro” senza la pretesa di intervenire su uno studio così vasto ed elaborato ma per cercare di comprendere meglio una tradizione spesso poco considerata e purtroppo oggi da noi perduta.
“I fuochi di San Giovanni sono tradizioni che risalgono a molto prima della nostra era. Il solstizio d’estate, o giorno di mezz’estate, segna la grande svolta nella traiettoria del sole che, dopo essere salito giorno dopo giorno, sempre più in alto nel cielo, comincia a tornare sui suoi passi lungo il cammino celeste … un evento del genere non poteva che suscitare l’ansia dell’uomo primitivo, via via che egli cominciava ad osservare e studiare il percorso degli astri attraverso la volta del cielo; e ancora ignaro della propria nullità nei confronti dei vasti mutamenti ciclici della natura, egli deve aver pensato di poter aiutare il sole in quello che sembrava il suo declino – di poter sorreggere i suoi passi vacillanti e ravvivare la fiamma morente della lampada rossa.. Quale che ne sia l’origine, (le feste contadine di mezz’estate in tutta Europa) si sono diffuse in questo quarto di globo dall’Irlanda alla Russia, dalla Norvegia e dalla Svezia alla Spagna e alla Grecia.” Aspetto principale di queste feste è l’accensione di un grande fuoco con scopi e riti diversi che variano di paese in paese. “I fuochi di mezz’estate ardevano in tutta l’Alta Baviera … e nella notte buia e silenziosa, scorgere quei gruppi di persone illuminate dal bagliore tremolante delle fiamme era davvero, a quanto si dice, uno spettacolo straordinario. Si faceva passare il bestiame attraverso il fuoco per guarire gli animali ammalati e proteggere quelli sani da ogni eventuale male durante l’anno. Molti capi famiglia, in quel giorno, spegnevano il focolare domestico per poi riaccenderlo con un tizzone preso dal falò di mezz’estate.” C’è anche uno stretto collegamento tra questi fuochi e la buona riuscita del raccolto. Si credeva che chi superasse le fiamme con un sol salto, non avrebbe avuto mal di schiena durante la mietitura. “In Svezia ragazzi e ragazze, tenendosi per mano saltano sopra il falò pregando affinché la canapa cresca alta tre cubiti … è la notte più gioiosa dell’anno viene celebrata sparando in aria, e accendendo grandi falò (che qui vengono) detti roghi di Baldr”. “ In Austria si accendono i falò e si gettano in aria dischi fiammeggianti” Ad Ambras viene fatto un fantoccio che raffigura Martin Lutero e viene poi bruciato sui grandi fuochi “la gente dice che, se vi aggirate per le strade fra le undici e mezzanotte, e vi lavate in tre pozzi, vedrete tutti coloro destinati a morire l’anno successivo.” Sempre in Austria “chiunque salterà tre volte attraverso il fuoco, per quell’anno non avrà mai la febbre.” in Boemia “la fanciulla che, nella notte di San Giovanni, scorge nove falò andrà sposa entro l’anno”. In alcune zone della Prussia e della Lituania questi fuochi servivano come protezione “contro stregonerie, tuono, grandine e malattie del bestiame, specialmente se al mattino seguente gli animali vengono condotti sul luogo dove ardevano i falò. Sono soprattutto efficaci contro le streghe le quali, con i solo sortilegi e i loro incantesimi, rubano il latte alle vacche… il mattino successivo a quella fatidica notte, i giovani che hanno appiccato il fuoco ai falò girano di casa in casa per ricevere boccali di latte”. In Russia gli Estoni “dicono che colui che non andrà alla festa troverà l’orzo pieno di cardi e l’avena piena di gramigna”. In Francia si dice che non esisteva villaggio o borgo dove non si accendessero. La gente ballava sulle fiamme e si portava a casa qualche tizzone per “proteggersi da fulmini, incendi e sortilegi”. Anche a Mosorrofa in passato si usava portare a casa delle ceneri o della brace che veniva usata contro il malocchio. Tra le popolazioni berbere di lingua araba era anche diffusa questa tradizione, i loro fuochi richiedevano delle erbe particolari (finocchio, timo, ruta, camomilla, geranio, menta e cerfoglio) che sprigionavano un fumo denso e aromatico col quale purificavano se stessi e i campi. “Ritengono che le ceneri abbiano proprietà benefiche e alcuni se le strofinano in testa e sulle braccia”. In Marocco i Berberi del Riff sono convinti “ che strofinandosi in testa le ceneri impastate, preverranno la caduta dei capelli”
Il fuoco di San Giovanni come dimostra lo studio di Frazer (che non è l’unico) ci permette di avere il quadro di una tradizione così antica portata avanti in tutta Europa. Classico esempio di festa cristiana sovrapposta a quella antecedente pagana. La festa di San Giovanni è celebrata in tutto il mondo con l’accensione di fuochi rituali, è un occasione di incontro per la comunità, una festa gioiosa che qui come in tanti altri paesi continuava fin la festa dei Santi Pietro e Paolo. È triste vedere come un momento di festa così antico, che ci lega a tutto il resto del continente, così carico di significato è andato oggi perduto inesorabilmente. Quel fuoco è stato spento come fu tale quello di Vesta (391 d.C.) per volere dell’imperatore Teodosio. Alle volte troppo facilmente lasciamo spegnere tradizioni anche antiche per inerzia davanti al mondo che cambia. Chissà se un giorno tornerà quel fuoco ad infiammarci forse spinti dall’amore per il nostro territorio. Amore e fuoco non sono poi così distanti, come si legge nella Bibbia dove sono messi in paragone “Forte come la morte è l’amore, tenace come il regno dei morti è la passione: le sue vampe sono vampe di fuoco, una fiamma divina! Le grandi acque non possono spegnere l’amore né i fiumi travolgerlo” (Cantico dei Cantici, cap.8 - 6).